Il mistero della divina chiamata

IL MISTERO DELLA DIVINA CHIAMATA – Sr. Ch. Cristiana Scandura osc – 2. Meditazione

VOCAZIONE E DISCERNIMENTO

Conoscere e rispondere alla vocazione è la questione centrale della vita di ogni persona, soprattutto negli anni giovanili. Il discernimento, e la conseguente decisione, non si improvvisa. Ha bisogno di alcune condizioni senza le quali si rischia di girare a vuoto.

Prendendo lo spunto dalla Bibbia, possiamo osservare che la nozione di chiamata è centrale per descrivere la persona umana nel suo rapporto con Dio. I patriarchi, i profeti, gli apostoli hanno iniziato la loro missione obbedendo a una chiamata di Dio.

Spesso si è trattato di un evento non esente da timore per le implicazioni che comportava, poiché essi erano coscienti della loro debolezza, erano per questo restii ad accettare.

Mosè diceva di essere impacciato di lingua, Geremia diceva di essere troppo giovane, Isaia di essere un uomo dalle labbra impure, Pietro di essere un peccatore. Sapevano tuttavia di essere stati scelti e chiamati da Dio ed erano coscienti che il suo aiuto e la sua grazia sarebbero stati per loro sufficienti.

Il termine vocazione esprime spesso la missione a cui uno è chiamato da Dio, ma il suo significato va oltre ciò che si è chiamati a fare: prima ancora della missione, esprime ciò che la persona è chiamata ad essere. In ultima analisi la vocazione definisce la persona così come Dio vuole che sia. L’importante per ognuno è saper discernere la propria chiamata. Tale processo di discernimento richiede alcune “condizioni”, ricordando che la vocazione non è solo missione, ma prima di tutto invito ad entrare in una relazione d’amore con Dio.

Se si vuole realmente giungere a conoscere ciò che Dio desidera da ciascuno, ci vogliono alcune condizioni indispensabili. È bene che questo percorso sia fatto con l’aiuto di una guida spirituale, una persona sapiente e di preghiera.

Prima condizione: la capacità di riflettere sugli avvenimenti ordinari della propria vita. Il discernimento richiede infatti una particolare sensibilità verso il proprio mondo interiore e la capacità di riflettere su ciò che si sperimenta e si vive. L’azione di Dio può essere sottile e rimanere spesso anche irriconoscibile fintanto che non si presta ad essa un’attenzione nella calma. Purtroppo oggi viviamo in un mondo di rumore che non è solo quello della strada, ma anche quello che ci creiamo con la televisione, la radio, i CD o i registratori; rumore che riempie ogni momento della giornata. Se si vuole riflettere con calma sulla propria vita bisogna prendere le distanze da questo rumore e ricercarsi spazi e tempi di silenzio esteriore ed interiore.

Seconda condizione: la capacità di descrivere ciò che si sperimenta. Bisogna quindi andare al di là di una semplice presa di coscienza degli avvenimenti per sviluppare la capacità di sentire le risposte da dare. Si tratta di trovare le parole adatte per descrivere ciò che si prova, ma le parole da sole non bastano; più importante è che si incominci a capire e valorizzare il modo con cui Dio è all’opera nella propria vita. Si prenderà allora coscienza che ci sono anche altre forze all’opera che cercano di distogliere da Dio e dal rispondere al suo amore. Come avvenne, per esempio in sant’Ignazio che, mentre era in ospedale, leggendo la vita di Cristo e dei santi, si sentiva fortemente attratto da questi racconti, ma poi avvertiva che i suoi pensieri vagavano lontano facendogli immaginare di essere un valoroso cavaliere e di compiere gesta eroiche, anche se, come egli confessa, questi pensieri lo lasciavano poi vuoto e triste. Può essere utile per favorire questo processo tenere un diario spirituale quotidiano e scrivere la propria autobiografia o confrontarsi con regolarità con la propria guida spirituale.

Terza condizione: la fedeltà alla preghiera personale. Il discernimento della vocazione non consiste soltanto nel giungere a un prudente giudizio circa il proprio futuro. Si tratta piuttosto di entrare nel movimento dell’amore di Dio e di stabilire una relazione sempre più profonda con questo Amore. Ora, ciò che nutre e favorisce questa relazione è proprio la preghiera.

Occorre tuttavia tenere presente che la preghiera non riguarda tanto, ciò che noi vogliamo dire a Dio, essa comincia non con il parlare, ma con l’ascoltare. L’intenzione profonda deve essere quella di sviluppare un atteggiamento di preghiera che pervada tutta la vita quotidiana.

Quarta condizione: la conoscenza di sé. Bisogna cioè che ciascuno guardi dentro se stesso e riconosca la trama del disegno di Dio nella propria vita: il modo in cui persone significative, eventi e decisioni hanno cooperato a plasmarla. Inoltre, è importante che sappiamo riconoscere le lotte e i conflitti, le forze e le debolezze, le speranze e le paure presenti nella nostra vita. Che cosa veramente riteniamo importante. In una parola, è necessario che la persona conosca se stessa.

Un passo ulteriore consiste nel conoscere i propri desideri più profondi. La domanda che Gesù rivolse ai due discepoli del Battista “Che cercate?” (Gv 1,38) deve sentirsi rivolta a tutti coloro che vogliano discernere la propria vocazione. Cosa desideriamo nel profondo del nostro cuore? Siamo attirati primariamente dal sacerdozio, dalla vita religiosa, dal matrimonio o da una delle tante forme di servizio nella Chiesa?

Quinta condizione: l’apertura a Dio e alla Sua volontà. È importante che conosciamo i nostri desideri più profondi e siamo capaci di avere grandi ideali circa il nostro futuro. Ma è altrettanto importante che siamo veramente aperti a Dio e abbiamo la docilità interiore di accettare come e dove Dio ci vorrà orientare. E si tratta di scoprirlo nella realtà di tutti i giorni.

Non vi è possibilità di discernimento vocazionale a prescindere dal rapporto con Cristo.

Abbiamo un esempio grande e recente nella testimonianza lasciataci da S. Giovanni Paolo II, non sfugge a nessuno che tutta la sua vita ruotava attorno al Cristo: su di Lui si appoggiava, Lo annunciava in ogni sua parola, Lo testimoniava in ogni suo gesto, con lui ha camminato in ogni stagione della sua esistenza. Senza l’esplicito riferimento a Cristo, la vita e il ministero del papa polacco rischia di non essere compresa appieno, anche se ammirata e stimata.

Ciò sta a dire che la scelta vocazionale scaturisce dalla scelta di Cristo e che nella scelta della propria vocazione la scelta di Cristo trova il suo habitat in cui maturare sempre più. Ha scritto il Giovanni Paolo II nel messaggio per la 42° Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni: «Chi apre il cuore a Cristo non soltanto comprende il mistero della propria esistenza, ma anche quello della propria vocazione, e matura splendidi frutti di grazia […]. Carissimi ragazzi e ragazze! Fidatevi di Lui, mettetevi in ascolto dei suoi insegnamenti, fissate lo sguardo sul suo volto, perseverate nell’ascolto della sua Parola. Lasciate che sia Lui a orientare ogni vostra ricerca e aspirazione, ogni vostro ideale e desiderio del cuore».

Senza questo incontro personale con il Cristo difficilmente potranno nascere e svilupparsi le vocazioni, soprattutto quelle di speciale consacrazione. Ce lo ricordava Paolo VI, in uno dei suoi ultimi messaggi per la Giornata Mondiale per le Vocazioni: «Nessuno segue un estraneo, nessuno dà la vita per una persona che non conosce. Se c’è crisi di vocazione, non è perché c’è innanzitutto crisi di fede?». Scaturisce di qui il primo e urgente impegno: incontrarsi con Cristo! (Continua)

Sr. Ch. Cristiana Scandura osc

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Il mistero della divina chiamata – 1. Meditazione

IL MISTERO DELLA DIVINA CHIAMATA – Sr. Ch. Cristiana Scandura osc – 1. Meditazione

 LA DIVINA CHIAMATA

“Si può ben dire che l’uomo è essenzialmente un chiamato, sia perché la chiamata lo costituisce nell’essere (chiamata alla vita), sia perché egli si realizza esattamente nell’essere chiamato e nel rispondere alla chiamata, dunque nell’obbedire. L’uomo è un essere responsoriale, capace di risposta, “responsabile” e di risposta addirittura a Dio, l’eterno chiamante, colui che chiama senza sosta, Dio infatti chiama perché ama, chiama per manifestare il suo progetto d’amore, chiama perché l’uomo sia felice. Dio quando ama chiama. Per questo non cessa di chiamare. Anzi, potremmo dire che la chiamata è l’attività tipica e specifica della Trinità santissima. E proprio per questo l’obbedienza si pone come gesto primordiale della vita dell’uomo: l’essere umano viene all’esistenza per un atto d’obbedienza alla chiamata dell’Eterno, nasce, potremmo dire, come essere obbediente, tale “per natura”. E l’obbedienza è subito ben più che una virtù, una condizione dell’esistenza umana.

Dio quando chiama si rivela

Tutte le chiamate di Dio, nella storia della salvezza, sono legate a una qualche rivelazione di Dio stesso. Il chiamato è regolarmente posto di fronte a una nuova immagine del divino, inedita e sorprendente (ricordiamo l’espressione di Giobbe: “Prima ti conoscevo per sentito dire, ora i miei occhi ti vedono”). Mosé, Abramo, Giacobbe…, e poi Geremia, Isaia, tutti i profeti…, i dodici, Maria, Paolo…, tutti hanno conosciuto il Padre attraverso una chiamata che mentre ne svelava il volto apriva impensati orizzonti all’esistenza terrena del chiamato. Per questo la risposta è difficile, poiché implica l’obbedienza al mistero che non cessa di svelarsi, perché è sempre ingresso in una terra straniera.

LE VOCAZIONI E LE MISSIONI NELL’ANTICO TESTAMENTO

Le scene di vocazione sono tra le pagine più importanti della Bibbia. La vocazione di Mosè al roveto ardente (Es 3), quella di Isaia nel tempio (Is 6), il dialogo tra Jahve ed il giovane Geremia (Ger 1), mettono in rilievo la presenza Dio nella sua maestà e nel suo mistero, e l’uomo in tutta la sua verità, nella sua paura e nella sua generosità, nelle sue potenze di resistenza e di accettazione. Perché questi racconti occupino un simile posto nella Bibbia, bisogna che la vocazione sia, nella rivelazione di Dio e nella salvezza dell’uomo, un momento veramente importante. Tutte le vocazioni dell’Antico Testamento hanno come oggetto delle missioni: Dio chiama per mandare. Ad Abramo, a Mosè, ad Amos, ad Isaia, a Geremia, ad Ezechiele, egli ripete lo stesso ordine: Và!

La vocazione è la chiamata che Dio fa sentire all’uomo che si è scelto e che destina ad un’opera particolare nel suo disegno di salvezza e nel destino del suo popolo. All’origine della vocazione c’è dunque un’elezione divina; al suo termine, una volontà divina da compiere. Tuttavia la vocazione aggiunge qualcosa alla elezione ed alla missione: una chiamata personale rivolta alla coscienza più profonda dell’individuo, che ne sconvolge l’esistenza, non soltanto nelle sue condizioni esterne, ma sin nel cuore, facendone un altro uomo. Questo aspetto personale della vocazione è reso nei testi: spesso si sente Dio pronunciare il nome di colui che egli chiama. Talora, per meglio indicare la sua presa di possesso ed il cambiamento di esistenza che essa significa, Dio dà un nome nuovo al suo eletto. E Dio si aspetta una risposta alla sua chiamata, una adesione istantanea, ma spesso l’uomo è preso da paura e tenta di sottrarsi (si pensi a Mosè preso da sgomento o a Giona che fugge lontano da Dio). E questo perché la vocazione è esigente e va controcorrente.

VOCAZIONE DELLA VERGINE MARIA

Maria è il modello dell’accoglienza della divina chiamata che si posa su un cuore in ascolto e attento ai segni di Dio (premessa questa indispensabile per poter percepire la divina chiamata) ed è modello dell’adesione incondizionata al progetto di Dio. Il sì pronunciato da Maria quando l’Angelo Gabriele Le annuncia che sarebbe diventata la Madre del Figlio di Dio, del Messia atteso, è un sì che si rinnova ogni giorno e si perpetua fino alla sofferenza più atroce per una Madre: veder morire in croce come un malfattore Colui che è il Signore di tutti e il Figlio diletto del Padre e suo. L’eccomi pronunciato da Maria nei misteri gaudiosi della vita del suo Figlio, è pienamente rinnovato anche nei misteri dolorosi che non si fanno attendere (si pensi alla fuga in Egitto poco tempo dopo la nascita di Gesù, agli anni vissuti da Gesù a Nazareth nella povertà, nel lavoro, nel nascondimento, alla vita pubblica di Gesù dove è fatto ben presto oggetto di persecuzioni, fino a quella suprema che culminerà nel tradimento, nell’accusa ingiusta e nella crocifissione).

Maria ha imparato a custodire e meditare nel cuore tutti gli eventi che riguardano Gesù, confrontandoli con le parole dei Profeti e dell’Antico Testamento in genere. Da questa meditazione assidua trae forza e luce sul Mistero grande di quel Figlio che Le è stato donato dal Cielo per la salvezza di tutti.

Nella vita di ogni chiamato\a sono presenti i misteri gaudiosi (per esempio l’entusiasmo degli inizi), i misteri dolorosi (le prove, la purificazione della fede, degli affetti, ecc…), nonché i misteri gloriosi per chi avrà perseverato fedelmente sino alla fine. Si parla qui non di una fedeltà stanca e trascinata, ma di una fedeltà gioiosa che rinnova lo slancio iniziale e che anzi si fa più matura e responsabile col passare degli anni.

È bene, ammonisce Gesù, che chi si siede per costruire una torre, consideri bene se ha i mezzi per poterla ultimare e che chi si reca in guerra contro un avversario valuti e misuri le forse sue e del nemico. Fuori metafora… chi si mette alla sequela di Cristo deve ben considerare che il Maestro non ha dove posare il capo, non promette glorie e onori su questa terra anzi annuncia che se hanno perseguitato Lui perseguiteranno anche i Suoi discepoli, non ci invita a lauti banchetti ma ci esorta a prendere ogni giorno la nostra croce e a seguirLo… se vogliamo.

Il Signore promette la vita eterna a coloro che hanno abbandonato tutto per seguirLo; ora questa vita eterna, è vero, cominciamo a gustarla quaggiù ma in mezzo alle inevitabili tribolazioni che è bene mettere in conto. La Beata Vergine Maria non si è tirata indietro, né lo hanno fatto i Santi; essi anzi attestano che una sola esperienza di Dio ha donato loro così tanta gioia, consolazione, giubilo del cuore, pace ineguagliabile, da stimare un nulla tutte le sofferenze patite per Cristo.

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