La spiritualità clariana : “Vivere secondo la perfezione del santo Vangelo, in santa unità e altissima povertà”

La Chiesa è come un grande albero, piantato da Dio nel campo del mondo, i cui molteplici rami rappresentano le varie forme di vita che lo Spirito Santo ha suscitato nel corso dei secoli.

Ogni spiritualità è incentrata sulla Persona di Gesù Cristo e sul santo Vangelo, ma ciascuna ne mette in risalto alcune peculiarità, alcuni tratti caratteristici che la rendono unica e la differenziano dalle altre.

La spiritualità clariana si caratterizza, in primo luogo, come chiamata a vivere secondo la perfezione del santo Vangelo, in santa unità e altissima povertà con un deciso riferimento a Cristo, come unico e vero programma di vita.

La santa unità

Guidata da Chiara, la comunità raccolta in San Damiano scelse di vivere secondo la forma del santo Vangelo in una dimensione contemplativa claustrale, che si contraddistingueva come un “vivere comunitariamente in unità di spiriti” (Regola di santa Chiara, Prologo, 5).

La particolare comprensione che Chiara dimostrò del valore dell’unità nella fraternità scaturisce da una matura esperienza contemplativa del Mistero trinitario.

L’autentica contemplazione, infatti, non chiude nell’individualismo ma realizza la verità dell’essere uno nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo.

Chiara non solo impostò nella sua Regola la vita fraterna sui valori del reciproco servizio, della partecipazione, della condivisione, ma si preoccupò che la comunità fosse anche saldamente edificata sull’“unità della scambievole carità e della pace” (cap. IV, 22), e ancora che le sorelle fossero “sollecite di conservare sempre reciprocamente l’unità della scambievole carità, che è il vincolo della perfezione” (cap. X, 7).

Era infatti convinta che l’amore scambievole edifica la comunità e stimola ad una crescita nella vocazione; perciò esortava nel Testamento: “Amandovi a vicenda nell’amore di Cristo, quell’amore che avete nel cuore dimostratelo al di fuori con le opere, affinché le Sorelle, provocate da quest’esempio, crescano sempre nell’amore di Dio e nella mutua carità” (59-60).

Questo valore dell’unità Chiara lo percepì anche nella sua dimensione più vasta. Per questo volle che la comunità claustrale fosse pienamente inserita nella Chiesa e ad essa solidamente ancorata con il vincolo dell’obbedienza (cfr Regola, cap. I, XII). Ella era ben consapevole che la vita delle claustrali doveva diventare specchio per altre Sorelle chiamate a seguire la medesima vocazione, nonché testimonianza luminosa per quanti vivevano nel mondo.

I quarant’anni vissuti all’interno del piccolo monastero di san Damiano non restrinsero gli orizzonti del suo cuore, ma dilatarono la sua fede nella presenza di Dio, operante la salvezza nella storia. Sono noti i due episodi in cui, con la forza della sua fede nell’Eucaristia e con l’umiltà della preghiera, Chiara ottenne la liberazione della città di Assisi e del monastero dal pericolo di un’imminente distruzione.

L’altissima povertà

Soltanto la scelta esclusiva di Cristo povero e crocifisso, che intraprese con ardente amore, spiega la decisione con cui santa Chiara s’inoltrò nella via dell’“altissima povertà”, espressione che racchiude nel suo significato l’esperienza di spogliamento, vissuta dal Figlio di Dio nell’Incarnazione.

Con la qualificazione di “altissima” Chiara voleva in qualche modo esprimere l’abbassamento del Figlio di Dio, che la colmava di stupore: “Tale e così grande Signore – annotava – scendendo nel seno della Vergine, volle apparire nel mondo come uomo spregevole, bisognoso e povero, affinché gli uomini – che erano poverissimi e indigenti, affamati per l’eccessiva penuria del nutrimento celeste -, divenissero in Lui ricchi col possesso dei reami celesti” (1 Lett. ad Ag., 19-20).

Essa coglieva questa povertà in tutta l’esperienza terrena di Gesù, da Betlemme al Calvario, dove il Signore “nudo rimase sulla croce” (Testamento di santa Chiara, 45).

Seguire il Figlio di Dio, che si è fatto nostra via, comportava per lei di non desiderare altro che di inabissarsi con Cristo nell’esperienza di un’umiltà e di una povertà radicali, che coinvolgevano ogni aspetto dell’esperienza umana, fino allo spogliamento della Croce.

La scelta della povertà era per santa Chiara un’esigenza di fedeltà al Vangelo, tanto da determinare la richiesta al Papa di un “privilegio della povertà”, quale prerogativa della forma di vita monastica da lei iniziata. Inserì tale “privilegio”, tenacemente difeso per tutta la vita, nella Regola che ricevette la conferma papale all’antivigilia della sua morte con la Bolla Solet annuere del 9 agosto 1253.

Lo sguardo di Chiara rimase sino alla fine fisso sul Figlio di Dio, del quale contemplava senza sosta i misteri. Il suo era lo sguardo amante della sposa, colmo del desiderio di una condivisione sempre più piena. In particolare, si immergeva nella meditazione della Passione, contemplando il mistero di Cristo, che dall’alto della Croce la chiamava e l’attirava.

Così scriveva: “O voi tutti, che sulla strada passate, fermatevi a vedere se esiste un dolore simile al mio; e rispondiamo, dico a Lui che chiama e geme, ad una voce e con un solo cuore: Non mi abbandonerà mai il ricordo di te e si struggerà in me l’anima mia” (4 Lett. ad Ag., 25-26). Ed esortava: “Lasciati, dunque, bruciare sempre più fortemente da questo ardore di carità!… E grida con tutto l’ardore del tuo desiderio e del tuo amore: Attirami a te, o celeste Sposo!” (ivi, 27.29-32).

Questa piena comunione con il mistero di Cristo la introdusse nell’esperienza dell’inabitazione trinitaria, in cui l’anima prende sempre più viva coscienza della dimora di Dio in lei: “Mentre i cieli con tutte le altre cose create non possono contenere il Creatore, l’anima fedele invece, ed essa sola, è sua dimora e soggiorno, e ciò soltanto a motivo della carità, di cui gli empi sono privi” (3 Lett. ad Ag., 22-23).

Vivere secondo la perfezione del santo vangelo, in santa unità e altissima povertà, è il cuore del carisma clariano, che contiene in sé tutti gli altri aspetti del carisma, quali: la preghiera, la contemplazione, il silenzio, l’ascolto, l’accoglienza, il lavoro.

Sr. Cristiana Scandura osc