Come sono… finita in Carcere…

Oggi voglio raccontarvi come, circa un anno fa, sono “finita in carcere”. Proprio così. Non era nei miei programmi, ma è stata una delle cose che più mi ha reso felice nella vita e spero proprio di non uscirne mai più. Vi racconto come è successo…

“L’amore di Cristo ci spinge” (2Cor 5,14). Come si concretizza questa Parola per una monaca di clausura che vive reclusa fra quattro mura? Voglio raccontarvi umilmente e confidenzialmente, solo un’esperienza di ciò che lo Spirito Santo, dotato di infinita creatività nell’Amore, può suscitare nel cuore di una Claustrale.

Alcuni mesi fa, mentre pregavo, ho sentito molto forte l’ispirazione o, se preferite, l’ardente desiderio di “entrare in Carcere” per far conoscere l’Amore di Cristo a tanti nostri Fratelli e Sorelle che forse nella loro vita non hanno fatto esperienza alcuna di amore.

 

CIÒ CHE CI RENDE VERAMENTE LIBERI E FELICI È L’AMORE

 

Viceversa tutto ciò che non viene dall’amore e non porta all’amore: questo ci rende schiavi.

 Spesso dietro ogni atto di violenza e di aggressività, ci sono altri atti di violenza e di aggressività che abbiamo subìto noi in prima persona. Così si innesca un circolo vizioso che si allarga sempre di più se non viene fermato da atti contrari di perdono, di amore, di mitezza, di non restituzione delle offese ricevute, ecc…

Essendo una monaca di clausura, il mio modo di entrare in Carcere non sarebbe stato quello di andarvi fisicamente ma, oltre che con la preghiera e l’offerta della vita, il Signore mi ha ispirato di raggiungere i Detenuti attraverso lo scritto e il canto, che avrei fatto pervenire loro, con frequenza bimestrale, per mezzo del Cappellano del Carcere.

Senza fare alcuna pressione per essere esaudita, ho sottoposto questa ispirazione ai miei Superiori i quali, con gioia, mi hanno dato il permesso di agire. Anche l’Arcivescovo e, in seguito il Santo Padre, Papa Francesco, mi hanno dato la loro benedizione per quest’umile opera.

Inizialmente pensavo solo al Carcere di Piazza Lanza di Catania, ma in brevissimo tempo il Signore ha permesso che fossero coinvolte prima le tre Carceri di Catania e quello di Agrigento, poi tutte le Carceri di Sicilia e infine tutte le Carceri d’Italia.

IL MIO DESIDERIO È QUELLO DI PORTARE
“UN RAGGIO DI SOLE OLTRE LE GRATE”

 e di aiutare questi Fratelli ad uscire dalla spirale del male. Spesso la situazione di sofferenza che vivono crea il terreno adatto per accogliere una parola che, con affetto sincero, si rivolge al loro cuore.

Attualmente sono diversi i Fratelli Carcerati che mi scrivono aprendo il loro animo.

 Sono consapevole del fatto che lo scritto, come pure il canto, sono dei mezzi molto umili che certamente vanno fecondati con la preghiera e l’offerta.

Da circa trent’anni, uno dei tanti servizi che svolgo in Fraternità e che mi piace particolarmente è quello di infermiera; ed è proprio quando servo le mie Sorelle anziane, per esempio, facendone un’offerta d’amore, che il pensiero vola ai Carcerati, agli ammalati, come pure alle tante persone che ogni giorno chiedono di essere sostenute nelle fatiche e nelle prove della vita.

Anche se spesso prego per persone che non conosco personalmente, nulla mi impedisce di dire sinceramente che le amo in Cristo e che le voglio assolutamente accanto a me in Paradiso, dove spero di giungere un giorno, unicamente per la Misericordia di Dio, non perché lo merito, ma perché lo desidero ardentemente.

È vero lo Spirito Santo dona al nostro cuore la Pace di Cristo, ma non ci lascia in pace, cioè non ci lascia in un quieto vivere, al contrario ci mette nel cuore come un fuoco che divampa e che non può essere contenuto.

 Il desiderio del mio Sposo: la salvezza delle anime, non può che essere anche il mio.

 Sr. Ch. Cristiana Scandura osc

Le donne: sesso debole, forte o fortissimo?

Tra le tante cose che mi fanno sorridere, ce n’è una di cui oggi voglio parlare: la classificazione delle donne come appartenenti al cosiddetto “sesso debole”.

Ma le cose stanno proprio così?

A me non dispiace molto questa classificazione, non perché la consideri vera, ma perché ritengo che ci consenta di agire indisturbate, al pari dei poliziotti quando vestono in borghese per non farsi riconoscere.

Quando penso a qualche esempio, tra i tanti, palese e inoppugnabile, la mia profonda convinzione si rafforza sempre di più.

Mi viene in mente, per esempio, S. Chiara D’Assisi, una donna che pur comportandosi con dolcezza e rispetto e rimanendo sempre obbediente alla Santa Madre Chiesa, seppe però tener testa al Papa e ottenere ciò che desiderava, cioè l’approvazione della Regola che il Signore le aveva ispirato.

Un altro esempio è quello della sorella carnale di Chiara, Agnese, che seguì le orme della santa sorella e fu la sua prima discepola.

Già Chiara, osteggiata dai parenti che si opponevano al suo proposito di santità, affrontò con animo forte gli ostacoli che questi le frapponevano e risolutamente non cedette né alle lusinghe né alle minacce, ma temperando con la mitezza e la fermezza l’animo dei familiari, li indusse ad accettare con rassegna-zione la sua scelta.

Ogni giorno Chiara pregava Dio, chiedendogli con insistenza che, come nel secolo era vissuta insieme alla sorella in unità di sentimenti, così continuasse tra di loro l’unione nella volontà di seguire Cristo, nella consacrazione totale al Suo servizio.

Il Signore non tardò ad esaudire questa preghiera e Agnese, ispirata dallo Spirito Santo rivelò alla sorella Chiara il suo desiderio di servire il Signore.

Mentre però le sorelle, felici, seguono le orme di Cristo, si scatenano contro di loro gli assalti dei consanguinei, mal disposti ad accettare la perdita anche di Agnese, dopo quella di Chiara.

Il giorno seguente, lo zio Monaldo, su tutte le furie, portando con sé altri undici uomini, si reca al luogo dove si trovavano le due giovani, fermamente deciso a riportare Agnese a casa.

Già questo fatto suscita la mia ilarità: per riportare a casa Agnese, che è soltanto una fanciulla, Monaldo coinvolge altri ben undici uomini (e con lui dodici!), ma non vi sembra un po’ eccessivo? E dov’è finita la forza virile?

Per gentile concessione, fossero stati solo 4 uomini… uno per arto…, avrei taciuto, ma dodici non sono un po’ troppi?

A mio avviso, già zio Monaldo parte sconfitto e dimostra di avere paura di una fanciullina.

Ma la cosa non finisce qui! I dodici uomini, dispiegano tutta la loro forza ma non riescono ugualmente a trascinare via con loro Agnese che, mentre Chiara prega, sembra essere diventata così pesante da non riuscire a muoverla neppure con l’aiuto di altri uomini provenienti dai campi e dalle vigne intorno. Allora, con sarcasmo, affermano che sicuramente ha mangiato piombo tutta la notte.

Lo zio Monaldo, arrabbiato, sconfitto e ferito nel suo orgoglio, cerca di colpire la giovane con un pugno, ma rimane col braccio paralizzato e dolorante per lungo tempo.

Questi sono soltanto alcuni tra i tantissimi esempi.

Dunque, le donne appartengono al sesso debole, forte o fortissimo? A voi la conclusione.

La nostra forza però è l’amore, la tenerezza, la dolcezza, il perdono, la mitezza, unite alla tenacia, alla costanza, all’impegno, all’intuito, alla fantasia e creatività proprie dell’amore.

Non rinunciamo alla nostra “fortezza” e non confondiamola con altri atteggiamenti che non ci si addicono, ma chiediamo al Datore di ogni Bene la grazia di viverla e di esercitarla nel modo giusto, per intercessione della Vergine Maria, la Donna forte per eccellenza.

Comunque, per non creare conflitti con gli uomini, facciamo così: essi continueranno ad appartenere al “sesso forte” e noi donne… al “sesso fortissimo”. Siete d’accordo?

Conviene però che teniamo per noi questo segreto e lasciamo parlare i fatti.

 Con grande affetto:

 Sr. Ch. Cristiana Scandura osc

PDF Le donne: sesso debole, forte o fortissimo?

“Ti lodo, Signore, perché mi hai fatto come un prodigio.”

Carissimi Fratelli e Sorelle,

ogni persona umana è: UNICA, SPECIALE, IRRIPETIBILE. Dio non ci ha creati in serie. Non esiste una persona identica ad un’altra, ma ciascuna ha delle peculiarità che la caratterizzano e la rendono originale.
Come un giardino è reso bello dalla presenza e varietà di diversi fiori, così tra gli esseri umani, è bella l’unità nella diversità che diventa una ricchezza, se accolta con gratitudine.
Ci sono delle caratteristiche che appartengono a ciascuna persona in particolare e a nessun’altra e che è bene scoprire, per svilupparle e portarle a pieno compimento.
Per una persona può essere la dolcezza, per un’altra la capacità di ascolto o di accoglienza, per un’altra ancora la disponibilità all’aiuto fraterno, la laboriosità, la compassione, il dono di sdrammatizzare le situazioni più tese con la gioia e il buon umore, la capacità di regalare anche un semplice sorriso a chi ci sta accanto o di comunicare la propria spiritualità attraverso il canto e la musica, ecc…
Non c’è nessuno che non abbia qualcosa che lo caratterizzi e che faccia di lui una persona speciale.

Oltre a scoprire in noi stessi queste caratteristiche, è bello e buono imparare a scoprirle e apprezzarle anche negli altri, ciò accresce la stima reciproca e distoglie l’attenzione dai difetti che spesso catturano tutto il nostro interesse.
È vero, in noi e negli altri, sono presenti anche dei difetti che ci caratterizzano (il mio è l’impazienza! Fremo, voglio fare le cose subito e non ci dormo la notte) e che forse non vorremmo avere, dobbiamo imparare ad accettare anche questi e ad orientarli verso il bene.
Per esempio se usiamo l’impazienza contro gli altri, chiaramente è un peccato e nuoce sia a noi stessi che al prossimo, ma se siamo impazienti di compiere il bene, di farci santi, di portare anime a Gesù, mettiamo impegno e passione in tutto quello che facciamo, e l’impazienza viene messa a servizio della nostra e altrui santificazione. Così è per tutti gli altri difetti.

QUAL È L’ASPETTO CHE PIÙ TI CARATTERIZZA?
QUAL È LA TUA MISSIONE?

Se per caso l’hai smarrita, cerca di andare con la memoria agli anni dell’infanzia. Quando si è piccoli e la vita, con le sue fatiche e prove di vario genere, non ha ancora fatto gravare il suo peso, emerge con più chiarezza la nostra vocazione, cioè la missione che il Buon Dio ci ha affidato e che è scritta nel nostro cuore. Ricordi cosa ti dava serenità, gioia,
pace, gaiezza, in cosa ti sentivi pienamente realizzato\a e ritrovavi te stesso\a? Può essere che le varie traversie della vita abbiano seppellito quell’aspetto e che abbia bisogno di essere riportato alla luce.

Voglio raccontarvi un particolare autobiografico: ho sempre amato cantare, da piccola mi svegliavo molto di buonora e cominciavo a cantare sotto le coperte, per attutire il suono e non disturbare nessuno (risultato mal raggiunto!!!). I miei fratelli mi osservavano perplessi e con sguardo interrogativo si chiedevano se per caso il mio modo di fare non fosse da ricondurre a qualche rara patologia… col tempo si sono convinti (e rassegnati!) che era il mio modo di manifestare la gioia.
Ora, si sa che “con l’età si peggiora” e “quello che si è fatto da giovani si fa da grandi”, ogni giorno al mattino prestissimo, mentre il Monastero, e il resto del mondo, sono avvolti da un grande silenzio e la gran parte degli esseri umani è ancora immersa nei sogni, io mi diletto a cantare al mio Signore (ho un posto segreto ove non disturbo nessuno, né le Sorelle, né i vicini di casa). Non dice forse il Salmo “Voglio svegliare l’aurora” (Sal 108,3) e S. Agostino: “Chi canta prega due volte”?

Mi auguro che un giorno faremo parte dello stesso Coro che canterà in eterno l’Amore e la Misericordia del Signore. Desidero tanto andare in Paradiso, quando il Signore vorrà, non da sola però ma insieme a tutti coloro che ho incontrato sul mio cammino, in qualsiasi modo, anche per lo spazio brevissimo di un sorriso. Spero che il Signore me lo conceda per l’intercessione dell’Immacolata Vergine Maria e di tutti i Santi.

Un abbraccio affettuosissimo:

Sr. Ch. Cristiana Scandura osc

PDF Ti lodo, Signore

Lo sguardo di chi ama fa brillare anche i miei occhi

 

 

Carissimi Fratelli e Sorelle,

il modo in cui guardiamo è così importante che è persino capace di influenzare, almeno in parte, la persona a cui lo rivolgiamo. Se guardiamo con occhi cattivi, trasmettiamo negatività. Se invece il nostro sguardo è pieno di amore, di luce, di gioia, di pace, inevitabilmente il nostro prossimo lo percepirà e si sentirà raggiunto, anche senza saperlo, dallo sguardo di Dio.
Quale grande responsabilità, dunque, abbiamo nel curare il nostro sguardo e nel mantenerlo limpido e trasparente, perché assomigli sempre di più a quello di Cristo Gesù Signore nostro. Ma come fare?

GLI OCCHI ESPRIMONO QUELLO CHE ABBIAMO NEL CUORE

Nella Scrittura troviamo un singolare legame tra cuore e volto. Il cuore dà lucentezza e trasparenza allo sguardo: lo rende sottile, acuto, penetrante e bello. Rischiara l’orizzonte, illumina e fa vedere bello ciò e chi è guardato.
Il vero dialogo nasce dal guardare e dall’essere guardati con l’implicazione del cuore.
Se il nostro cuore è abitato da buoni sentimenti e la nostra mente è nutrita da buoni pensieri, lo si potrà leggere nei nostri occhi.

“Quello che è vero, quello che è nobile,
quello che è giusto, quello che è puro,
quello che è amabile, quello che è onorato,
ciò che è virtù e merita lode,
questo sia oggetto dei vostri pensieri.
E il Dio della pace sarà con voi” (Fil 4,8-9b).

Attraverso gli occhi possiamo comunicare tanto. Quando Pietro, dopo aver mentito dicendo, per paura, di non conoscere Gesù, incontra il Suo sguardo pieno di amore e di misericordia, davanti a quegli occhi si pente, sciogliendosi in lacrime (cfr Lc 22, 54-62).
Più volte Papa Francesco ha sottolineato il potere dello sguardo di Gesù, capace di cambiare per sempre la vita di coloro su cui si posa. Commentando l’incontro di Gesù con Matteo afferma: “Appena sentito nel suo cuore quello sguardo, egli si alzò e lo seguì”. E fa notare che “lo sguardo di Gesù ci alza per sempre; ci porta su”, ci solleva; non ci lascia mai dove eravamo prima d’incontrarlo, né toglie qualcosa a colui sul quale si posa. “Mai ti abbassa, mai ti umilia, ti invita ad alzarti”. E conclude raccomandando di “lasciarci guardare da Lui” (Omelia S. Marta 21.09.2013).

Con lo sguardo possiamo ferire oppure guarire una ferita. Uno sguardo può rasserenare, disarmare, risollevare, ma anche operare il contrario di tutto ciò.
Quando contempleremo Dio faccia a faccia il nostro volto risplenderà come il Suo; i nostri occhi, per riflesso, risplenderanno come i Suoi. Ma anche ora, se viviamo in Grazia di Dio, in comunione con Lui, saremo trasparenza di Dio.

GLI OCCHI LUMINOSI RIVELANO LA BELLEZZA DELL’ANIMA

Quando Mosè, dopo aver contemplato Dio e conversato con Lui, scendeva dal Monte Sinai, il popolo vedeva il suo volto raggiante (Es 34,29).
Anche le Sorelle di S. Chiara d’Assisi, durante il Processo di canonizzazione attestano che quando ella ritornava dall’orazione il suo volto era più bello e più luminoso del solito e dalla sua bocca uscivano parole tali da infiammare il cuore delle Sorelle all’amore di Dio.

C’È UNA BELLEZZA CHE ESPRIME
L’AMORE VISSUTO E REALIZZATO

Ci sono certi occhi e certi volti che esprimono una tale bellezza, luminosità, pace e serenità che rimandano inequivocabilmente al Datore stesso di questi doni: Dio. Anche quando la storia è stata attraversata da prove ed eventi dolorosi, se questi sono stati vissuti ed integrati nel mistero pasquale di Cristo danno luogo a storie con esito felice.

“Gli uomini e le donne che pregano sanno che la speranza è più forte dello scoraggiamento. Credono che l’amore è più potente della morte, e che di certo un giorno trionferà, anche se in tempi e modi che noi non conosciamo. Gli uomini e le donne di preghiera portano riflessi sul volto bagliori di luce: perché, anche nei giorni più bui, il sole non smette di illuminarli. La preghiera ti illumina: ti illumina l’anima, ti illumina il cuore e ti illumina il viso. Anche nei tempi più bui, anche nei tempi di maggior dolore” (Papa Francesco – Catechesi Merc. 20 Maggio 2020).

Chiediamo al Signore che la nostra vita sia riflesso della Sua, che possiamo guardare con i Suoi occhi e amare con il Suo cuore. Servire e donarci come fece Lui e possiamo donare a chiunque incontriamo sul nostro cammino il Suo sorriso, perché chi guarda noi, possa vedere Lui.

Con grande affetto:

 

Sr. Ch. Cristiana Scandura osc

Lo sguardo di chi ama PDF

Il combattimento spirituale

Carissimi Fratelli e Sorelle,

San Paolo definisce la vita del cristiano impegnato come una battaglia che ingaggia contro un agente interno (la concupiscenza) e due agenti esterni (il mondo e il diavolo) e ci fornisce le armi di questo combattimento spirituale, scrive:

“Rivestitevi dell’armatura di Dio, per poter resistere alle insidie del diavolo. La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti. Prendete perciò l’armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno malvagio e restare in piedi dopo aver superato tutte le prove. State dunque ben fermi, cinti i fianchi con la verità, rivestiti con la corazza della giustizia, e avendo come calzatura ai piedi lo zelo per propagare il vangelo della pace. Tenete sempre in mano lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i dardi infuocati del maligno; prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, cioè la Parola di Dio. Pregate inoltre incessantemente con ogni sorta di preghiere e di suppliche nello Spirito, vigilando” (Ef 16,11-18).

Le virtù cristiane sono dunque le armi di luce che il soldato di Cristo è chiamato a rivestire, soprattutto è la fede in Cristo a vincere il maligno e il mondo.

La fede è un dono che Dio fa all’uomo gratuitamente. Noi però possiamo perdere questo dono inestimabile. San Paolo, a questo proposito, mette in guardia Timoteo: “Combatti la buona battaglia con fede e buona coscienza, poiché alcuni che l’hanno ripudiata hanno fatto naufragio nella fede” (1 Tm 1,18-19).

Per vivere, crescere e perseverare nella fede sino alla fine, dobbiamo nutrirla con la Parola di Dio: dobbiamo chiedere al Signore di accrescerla; essa poi deve operare per mezzo della carità (Gal 5,6), essere sostenuta dalla speranza ed essere radicata nella fede della Chiesa.

L’origine del combattimento spirituale

Il peccato originale, sebbene proprio a ciascuno, in nessun discendente di Adamo ha un carattere di colpa personale. Esso consiste nella privazione della santità e della giustizia originali, tuttavia la natura umana non è interamente corrotta (non esiste un uomo completamente cattivo che non abbia in sé alcuna parte sana o comunque per il quale non ci sia speranza di conversione): essa però è ferita nelle sue proprie forze naturali, sottoposta all’ignoranza, alla sofferenza e al potere della morte, e incline al peccato, questa inclinazione al male è chiamata “concupiscenza” .

Il Battesimo, donando al cristiano la vita della grazia di Cristo, cancella il peccato originale e volge di nuovo l’uomo verso Dio; ma le conseguenze di tale peccato sulla natura indebolita e incline al male rimangono nell’uomo e lo provocano al combattimento spirituale.

Prima dell’Ascensione, Cristo ha affermato che non era ancora il momento del costituirsi glorioso del Regno messianico atteso da Israele, Regno che doveva portare a tutti gli uomini,  l’ordine definitivo della giustizia, dell’amore e della pace.

Il tempo presente è ancora segnato dalla “necessità” (1 Cor 7,26) e dalla prova del male, che non risparmia la Chiesa. E’ un tempo di attesa e di vigilanza.

“Con l’acqua battesimale, viene concesso un perdono talmente ampio che non rimane più alcuna colpa – né originale né ogni altra contratta posteriormente – e viene rimessa ogni pena da scontare. La grazia del Battesimo, però, non libera la nostra natura dalla sua debolezza; anzi non vi è nessuno che non debba lottare contro la concupiscenza, fomite continuo di peccato.

In tale combattimento contro l’inclinazione al male, chi potrebbe resistere con tanta energia e con tanta vigilanza da riuscire ad evitare ogni ferita del peccato? Nessuno. Proprio per questo fu necessario che nella Chiesa vi fosse la potestà di rimettere i peccati anche in modo diverso dal sacramento del Battesimo. Per questa ragione Cristo consegnò alla Chiesa le chiavi del Regno dei Cieli, in virtù delle quali potesse perdonare a qualsiasi peccatore pentito i peccati commessi dopo il Battesimo, fino all’ultimo giorno della vita” (Cfr CC 978\979).

Per mezzo del Battesimo sono dunque rimessi tutti i peccati: il peccato originale e tutti i peccati personali, come pure le pene del peccato. In coloro che sono stati rigenerati, infatti, non rimane nulla che impedisca loro di entrare nel Regno di Dio, né il peccato di Adamo, né il peccato personale, né le conseguenze del peccato, di cui la più grave è la separazione da Dio.

Rimangono tuttavia nel battezzato alcune conseguenze temporali del peccato, quali le sofferenze, la malattia, la morte, o le fragilità inerenti alla vita come le debolezze del carattere, ecc., e anche una inclinazione al peccato che la Tradizione chiama la concupiscenza, o, inclinazione al peccato.

Essendo questa concupiscenza lasciata per la prova, non può nuocere a quelli che non vi acconsentono e che le si oppongono virilmente con la grazia di Gesù Cristo. Anzi, “non riceve la corona se non chi ha lottato secondo le regole (2 Tm 2,5).

In questo combattimento non siamo soli. Dio stesso è con noi, lo attesta San Paolo: “Se Dio è con noi, chi sarà contro di noi?”; la Vergine Maria, invocata (tra gli altri titoli) come Madre del Perpetuo Soccorso è sempre disposta a venirci in aiuto e anzi ci previene; il nostro buon Angelo Custode ci è stato donato per questo; abbiamo inoltre una schiera di Santi pronti a soccorrerci, appena glielo chiediamo, in virtù della comunione che regna tra la Chiesa militante e quella trionfante (tra questi possiamo anche sceglierne qualcuno o qualcuna cui chiedere una speciale protezione).

Incoraggiati dunque dall’esempio dei Santi, nostri fratelli, che hanno sostenuto le stesse nostre battaglie e le hanno vinte, adoperiamoci anche noi a lottare da prodi ben sapendo che

“la fatica quaggiù è breve, ma la ricompensa è eterna.”

                                                                                               (San Francesco).

Con grande affetto:

 

Sr. Ch. Cristiana Scandura osc

Il combattimento spirituale pdf

Audio: Inno all’amore

Testo, musica ed esecuzione:

Sr. Ch. Cristiana Scandura osc

Il Figlio del falegname

 

 

Carissimi Fratelli e Sorelle, 

quando ascolto o leggo questa espressione con la quale nei Vangeli viene definito Gesù e cioè: “Il figlio del falegname” (Mt 13,55), il mio cuore si riempie di stupore e mi commuovo profondamente.

Mi sembra una cosa così grande che il Dio eccelso, Creatore del Cielo e della Terra, non solo abbia assunto la natura umana, ma abbia anche condiviso in tutto la condizione della povera gente, del più comune degli uomini, partecipando anche all’umile dimensione del lavoro.

Quelle dita che hanno creato e, per così dire, posato nel posto giusto miriadi di stelle nel firmamento del cielo, quelle mani che hanno dipinto i monti e fatto fiorire i prati, alimentato le sorgenti, creato il letto ai fiumi e ricamato e intessuto ogni essere umano nel grembo materno, hanno anche faticato in una piccola falegnameria di un piccolo paese e hanno avuto a che fare con legno, trucioli, pialla, polvere e… sicuramente anche con qualche cliente petulante.

Che meraviglia!

TUTTO CIÒ CHE IL VERBO HA ASSUNTO LO HA REDENTO. 

Com’è bello pensare che Nostro Signore Gesù Cristo ha condiviso tutto della nostra vita, eccetto il peccato: le fatiche, le gioie, le tribolazioni, l’amicizia, ecc… e persino l’umile lavoro quotidiano.

Carissimi, voglio farvi una confidenza: a me piace molto lavorare, lavoro volentieri e mi piace qualsiasi tipo di lavoro, da quello più umile a quello più nobile, anzi sono convinta che non esista un lavoro meno nobile di un altro.

Da buona figlia di S. Francesco e S. Chiara D’Assisi, credo che il lavoro, prima di avere un fine ascetico o funzionale (finalizzato cioè al sostentamento economico), abbia soprattutto il fine di glorificare Dio.

IL LAVORO È UN DONO, UNA GRAZIA. 

Con un atto di grande fiducia, Dio ha affidato all’uomo il compito di custodire la creazione e di realizzare sempre nuove conquiste. Il lavoro va svolto perciò con fedeltà, competenza, zelo e precisione. Attraverso di esso siamo chiamati a restituire a Dio,  moltiplicati,  i talenti che  abbiamo  da  Lui  ricevuti.   Durante  lo

svolgimento del nostro lavoro poi, non dobbiamo mai perdere di vista che stiamo lavorando  per  la  gloria  di  Dio  e  per  l’utilità  dei  fratelli.   Proprio   per  questo

dobbiamo mettere tutta l’attenzione e l’amore possibili, memori che il Figlio di Dio ha santificato il lavoro, non disdegnando di compiere i lavori più umili, lavorando con le Sue stesse mani.

Alcuni, che conoscono poco la vita che si svolge dentro un Monastero, non sanno che la nostra vita, integralmente contemplativa, e quindi principalmente dedita alla preghiera, è però una vita anche molto laboriosa.

Spesso le mie giornate iniziano molto all’alba e ben mi si addicono le parole del Sal 108,3: “Voglio svegliare l’aurora”. (Così come la sera nessuno mette in pratica meglio di me le parole del Sal 4,9: “In pace mi corico e subito mi addormento”…)

Fra gli altri servizi che svolgo in Fraternità, mi piace lavorare in “falegnameria” (come il mio Sposo del resto), mi occupo infatti anche della realizzazione di icone, quadri e portachiavi in legno.

Ecco, vi confido che, spesso la sera sono “super” stanca, ma anche “super” felice e mi piace pensare che anche Gesù la sera era stanco, dopo una giornata estenuante di lavoro o di apostolato, ma felice. Questo mi riempie ancor più di gioia.

Come sono felice di essere la sposa di questo Falegname!

Quando guardo le mie mani, non del tutto raffinate, penso alle Sue, che non solo hanno avuto probabilmente qualche callosità a motivo del lavoro che svolgeva, ma sono state anche forate dai chiodi, per amor mio, per amor nostro.

Carissimi, ho un desiderio un po’ folle, ma so che voi ormai mi comprendete, quando chiuderò gli occhi su questa terra, vorrei che le mie Sorelle, sopra l’abito religioso, mi cingessero anche il grembiule. Proprio quello che uso nei miei lavori quotidiani.

Vorrei che S. Pietro (chiudendo un occhio sul resto…) mi riconoscesse subito come l’umile sposa dell’Umile Servo di Jahwé: Gesù di Nazareth. Mio Signore e mio Dio. Amen!

 Con grande affetto:

Sr. Ch. Cristiana Scandura osc 

 

Il Figlio del falegname pdf

Audio: Cantico D’amore

 

 

Testo e musica: Sr. Ch. Cristiana Scandura osc

Arrangiamento: Samuel Sciarra