Il “dovere” di amare

Nel Vangelo di Giovanni troviamo un’affermazione, più volte ripetuta, che dobbiamo comprendere bene. Gesù dice:

“Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri,
come io vi ho amati. Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri” (Gv 15, 12.17).

Può l’amore essere un comandamento? Che amore è questo, pensiamo noi uomini, se non è libero ma comandato?

Amare Dio con tutta l’anima e con tutte le forze è definito il primo e più grande dei comandamenti e amare il prossimo come se stessi, il secondo comandamento simile al primo (Mt 22, 37-39). Che rapporto ci può essere tra amore e dovere, dal momento che uno rappresenta la spontaneità e l’altro l’obbligo?

Per rispondere a questa obiezione, bisogna sapere che vi sono due generi di comandi. C’è un comando o un obbligo che viene dall’esterno, da una volontà diversa dalla mia, e vi è un comando o obbligo che viene dal di dentro.

Vi sono due modi secondo cui l’uomo può essere indotto a fare o a non fare una cosa: la costrizione o l’attrazione. La legge ve lo induce nel primo modo: per costrizione; l’amore ve lo induce nel secondo modo: per attrazione.

Ciascuno infatti è attratto da ciò che ama, senza che subisca alcuna costrizione dall’esterno.

Mostra ad un bambino un giocattolo e si slancerà per prenderlo. L’amore, dice S. Agostino, è come un “peso” dell’anima che attira verso l’oggetto del proprio amore,

In questo senso l’amore è un comandamento. Esso riesce a far compiere quello che nessuna legge esterna sarebbe in grado di indurre a fare, e cioè a dare la vita per qualcuno.

Tuttavia, finché siamo circondati da altri beni in questo mondo, corriamo il rischio di sbagliare il bersaglio, di tendere a dei falsi beni e perdere così il Sommo Bene. Per amare, secondo Dio, occorre la Sua Grazia.

Lo stesso evangelista Giovanni, che nel Vangelo ci trasmette il comandamento di amare, ci addita anche la sorgente dove attingere la forza per metterlo in pratica. Dice:

“Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo” (1Gv 4, 19).

Noi possiamo attingere, da questo suo amore, la forza per amare a nostra volta Dio e il prossimo e per ottenere il perdono, ogni volta che abbiamo mancato di farlo.

Sr. Ch. Cristiana Scandura osc

 

Non siamo persone “normali”…

Mio Padre spesso soleva dire riferendosi a me: “Mia figlia Marinella è speciale!”. Si sa che i figli più piccoli – ed io sono l’ultima di quattro figli – occupano un posto particolare nel cuore dei genitori. Ma quale non fu la mia sorpresa e la mia gioia il giorno in cui udii rivolgermi questa affermazione niente meno che da DIO!

Accadde in una celebrazione eucaristica, quando venne proclamato il Vangelo in cui il Padre dice: “TU SEI IL MIO FIGLIO PREDILETTO, IN TE MI SONO COMPIACIUTO!” (Mc 1, 11).

È vero queste parole Dio le pronuncia rivolgendosi principalmente a Gesù, ma le pronuncia anche rivolgendosi a me e a te.

La mia interpretazione ed appropriazione di questa frase non è arbitraria perché, se tu ed io non fossimo così importanti per il nostro Padre Celeste, avrebbe Egli inviato il Suo amato Figlio a prendere la nostra carne mortale e a morire su una Croce come un malfattore per dimostrarci quanto ci ama? Certamente no!

Inoltre questa affermazione è ulteriormente illuminata e confermata da questa stupenda dichiarazione d’amore: “TU SEI PREZIOSO AI MIEI OCCHI, SEI DEGNO DI STIMA ED IO TI AMO!” (Is 43, 4)) e da quest’altra: “DIO HA TANTO AMATO IL MONDO DA DARE IL SUO FIGLIO UNIGENITO” (Gv 3, 16).

Ognuno di noi agli occhi di Dio Padre non è una persona “normale”, ma piuttosto una persona “SPECIALE”.

Dio è capace di lasciare le 99 pecorelle sui monti per andare in cerca di quella perduta.

“Se il Paradiso non esistesse, lo creerei per te!”, disse un giorno Gesù a S. Margherita da Cortona, terziaria francescana, che prima della conversione aveva vissuto in modo non proprio esemplare.

Questo amore, colmo di tenerezza, che Dio ha per ogni singola persona, oltre che suscitare in noi sentimenti di gratitudine, dovrebbe anche ispirare il nostro modo di relazionarci con gli altri.

Ogni persona è sacra e va rispettata come tale, ognuno, inoltre, racchiude in sé un mistero grande che è difficile comprendere fino in fondo, per questo dovremmo sempre astenerci dal giudicare, cosa che tocca unicamente a Dio che, solo, conosce il cuore dell’uomo in profondità.

Creati da Dio a Sua immagine e somiglianza, non possiamo che essere “speciali”. Questa consapevolezza dovrebbe renderci persone “positive” e riempire di sempre nuovo slancio ed entusiasmo i giorni della nostra vita.

Tutto ciò che facciamo è speciale, se compiuto in unione con Dio, nell’amore e per amore.

Se invece ci allontaniamo da Lui, ci allontaniamo anche da noi stessi, dagli altri e dal progetto buon che Dio ha concepito per noi.

Distaccandosi da Dio, l’uomo si abbrutisce e non porta a compimento il capolavoro che invece Dio avrebbe voluto farne. Come diceva il Beato Carlo Acutis. “Tutti nasciamo come originali, ma molti muoiono come fotocopie.”

Alzando spesso gli occhi a Cristo Crocifisso e Risorto per noi, ravviviamo la certezza di essere figli amati e prediletti da Dio.

Forti di questa certezza, non ci sia posto nella nostra vita per sentimenti di frustrazione o di depressione, ma piuttosto per la lode, la gioia e la gratitudine per tanta degnazione da parte di Dio, per altro del tutto gratuita quanto immeritata da parte nostra.

Vi abbraccio fraternamente in Cristo:

Sr. Ch. Cristiana Scandura osc

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Dio è sempre on-line

Per fortuna, o meglio, per grazia, Dio è sempre connesso, di giorno e di notte, nelle ore buie e in quelle solari, quando imperversa la tempesta e quando i raggi del sole accarezzano i petali di un fiore e fanno brillare le nostre lacrime, come fossero diamanti.

Il nostro rapporto con Dio non conosce problemi di linea, né interruzioni di sorta, se non… quelle deliberate da noi.

Per entrare in relazione con Dio, bisogna porsi in umile atteggiamento di ascolto.

Come una giovane innamorata si prepara all’incontro con la persona amata, curando anche i minimi dettagli, così la persona che vuole incontrare Dio nella preghiera bisogna che si predisponga all’incontro.

Vediamo concretamente come. È importante scegliere un luogo silenzioso e appartato, che può essere una Chiesa, una piccola Cappella o la propria stanza. La scelta di un luogo adatto per la preghiera aiuta la nostra fragile umanità, incline alla distrazione e deconcentrazione. Chi è più avanti nel cammino di unione con Dio, avrà facilità a raccogliersi e a pregare anche se si trova in mezzo ad una piazza, ma all’inizio non è così facile.

Spesso S. Francesco d’Assisi, mentre percorreva le strade per evangelizzare, veniva visitato dalla grazia e sentiva forte la chiamata interiore alla preghiera, allora si fermava e si copriva il viso con la manica della tonaca, quasi a formare una piccola celletta, per raccogliersi e gustare quei momenti di intensa preghiera, raccoglimento e unione con Dio.

Gesù stesso diceva alla Samaritana che Dio si deve adorare in spirito e verità (cfr Gv 4, 23), dunque, ogni luogo può essere buono, tuttavia, lo stesso Gesù sentiva il bisogno di ritirarsi a pregare sul monte o in luoghi solitari e deserti e lo faceva spesso in orari particolarmente avvolti dalla quiete, cioè di notte o di mattina all’alba (cfr Lc 5, 16).

È importante perciò, almeno nei momenti forti di preghiera, scegliere un luogo adatto.

Il secondo passo da compiere è quello di mettere a tacere le distrazioni, i pensieri che non hanno a che fare con la preghiera e disporre il proprio cuore a ricevere le confidenze di Dio. Per raccogliere il nostro spirito e allontanare i pensieri vani è molto utile ripetere una giaculatoria, cioè una brevissima preghiera invocazione che può essere il versetto di un Salmo, del Vangelo o della Parola di Dio in genere.

Quando il turbine dei pensieri si è finalmente placato, possiamo prendere in mano la Parola di Dio e leggerne un brano, lasciando che Dio ci parli attraverso di essa, illuminando la nostra storia.

Ci si può attenere al brano evangelico proposto dalla Chiesa per quel giorno e che ritroviamo nella S. Messa, oppure fare una lettura continuata della Sacra Scrittura, ciò che personalmente apprezzo e consiglio molto di fare, mettendoci in ascolto dello Spirito Santo, lo stesso Spirito che ha parlato attraverso gli autori dei Sacri Testi.

Più cresce la nostra familiarità con la Scrittura Santa, più la comprenderemo, e ci verrà spontaneo accostare il brano che stiamo meditando ad altri brani della Sacra Bibbia che ce ne rendono più chiaro il senso.

Non ci dimentichiamo mai che la Storia della Salvezza, contiene la storia della “nostra” personale salvezza.

Concludo questo argomento inesauribile sulla preghiera, con un invito: quando, entrando in rete, vedrete il pallino verde che fa sapere che un utente è in linea, il vostro pensiero corra alla lampada sempre accesa, giorno e notte, davanti al Santissimo Sacramento che esprime la Presenza del Signore Gesù Cristo, il Suo essere con noi. Sempre. Ricorriamo a lui con fiducia.

Vi abbraccio fraternamente in Cristo:

Sr. Ch. Cristiana Scandura osc

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IL VALORE PREZIOSO DELLA PROVA

Carissimi Fratelli e Sorelle,

ormai mi conoscete, la mia vita è come un libro aperto e con fraterna semplicità condivido ciò in cui credo, ciò che penso e ciò che vivo. Per me, infatti, l’umanità è come una grande famiglia e perciò mi sento a casa.

Da tempo medito su una certezza che, ne sono convinta, può dare una svolta alla nostra vita:

RIEMPIRE DI SENSO TUTTO QUELLO CHE VIVIAMO.

Mi spiego meglio, anche le cose negative che ci possono capitare, possono avere una valenza positiva, non dimentichiamo ciò che afferma la Parola di Dio: “Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio” (Rm 8, 28).

Se il peggiore dei crimini commesso dall’uomo: l’uccisione del Figlio di Dio, Dio lo ha fatto servire alla nostra salvezza, lo stesso Egli fa per tutto ciò che attraversa la nostra esistenza.

Tutti, quotidianamente, sperimentiamo piccole prove e tutti, prima o poi, ci imbatteremo in quelle più gravi e profonde; se credessimo fermamente che ogni cosa che ci succede è un’occasione di crescita nella fede, nell’amore e nella collaborazione con Dio per la salvezza delle anime, il nostro modo di affrontare gli eventi cambierebbe considerevolmente.

Prendiamo, per esempio, l’ipotesi che alla nostra vita bussi la malattia; non saremo di certo le uniche persone al mondo ad avere una malattia, “unico” però è il modo in cui possiamo viverla.

In altre parole, nella malattia o in qualsiasi altra prova o sofferenza, possiamo tirare fuori il meglio di noi stessi, certamente con l’aiuto di Dio.

Spesso nella malattia ci abbattiamo perché pensiamo alle attività che abbiamo svolto fino a quel momento e che forse non potremo più svolgere o comunque non potremo più farlo allo stesso modo di prima. Non pensiamo però solo in negativo, cioè a ciò che NON potremo più fare, pensiamo invece in positivo, alle potenzialità presenti in noi che la prova fa emergere. Ci sono degli aspetti inediti di noi che forse neanche noi stessi conosciamo ma che vengono fuori grazie alla prova.

Riempire di senso ogni prova significa aprirsi a nuove opportunità, per esempio, come detto sopra, a collaborare con Dio per la salvezza delle anime.

Quando diamo un senso alla prova che viviamo, non lamentandoci, non mormorando, non ribellandoci, ma unendoci alla Passione di Cristo e ne facciamo un’offerta d’amore, diventiamo luce per gli altri e lasciamo un’impronta positiva su questa terra.

Però, per riuscire a vivere così una grande prova, bisogna prepararsi, accettando con gioia le umili, piccole occasione quotidiane.

Fra i tanti esempi mi ha colpito particolarmente quello della Beata Chiara Luce Badano. Quando il medico le palesò chiaramente la gravità della malattia che all’improvviso si abbatté su di lei e le esplicitò ciò a cui andava incontro, che cioè le restava poco tempo da vivere, ella ebbe bisogno di una mezz’ora, che trascorse in silenzio e in preghiera, per metabolizzare questa notizia, per “resettare” la propria esistenza, per “accordare” nuovamente la propria vita con il “La” di Dio; insomma per accettare dalle mani di Dio questa prova, perché, con il Suo aiuto, in essa si santificasse e diventasse anche per il prossimo, strumento di salvezza, in Cristo.

Spesso accade che sul momento non riusciamo a cogliere il valore delle prove, dopo però scopriamo che la mano provvidente di Dio ha disposto tutto con sapienza, per il nostro e altrui bene.

È verissimo, non sempre le prove sono disposte da Dio, ma talvolta provengono dal nostro prossimo, per un uso scorretto della libertà, talaltra hanno altre cause; Dio però può scrivere dritto sulle righe storte della nostra storia, facendo servire anche il male, per un bene.

Questa è la vittoria dell’amore e del bene, anche sul male.

Questa certezza da solidità alla nostra vita e ci fa conservare la serenità e la pace pur in mezzo alle più svariate difficoltà.

Un abbraccio affettuosissimo in Cristo Gesù Signore nostro:

Sr. Ch. Cristiana Scandura osc

Come gli uccelli del cielo

Tra tutti gli animali che il Buon Dio ha creato, personalmente ho una predilezione per gli uccelli. Forse è per questa mia naturale simpatia per essi (simpatia ampiamente ricambiata da essi) che mi viene spontaneo paragonare la nostra vita claustrale con la loro vita.

Il paragone può sembrare paradossale se si considera che gli uccelli volano liberi nel cielo e noi trascorriamo invece l’esistenza in clausura.

Ma cos’è la libertà? “Dio ci ha chiamati a libertà. Purché questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri” (Gal 5, 13).

Esiste una libertà “da” e una libertà “per”. Libertà dalle varie schiavitù e dai vari idoli ai quali il nostro cuore è sempre pronto ad attaccarsi. E libertà “per”, cioè “in funzione di” un amore universale, che abbraccia tutti, che tutti ama con il cuore di Cristo, che in tutti vede dei fratelli e delle sorelle da amare.

La più alta e bella espressione della libertà è il dono totale di sé. Dono concretizzato da ciascuno in modo diverso, in base alla propria vocazione.

Va da sé che i Monasteri non sono un luogo di rifugio per persone deluse dalla vita, ma essi accolgono persone libere e felici o comunque incamminate verso la conquista della piena libertà, cioè incamminate verso il raggiungimento della pienezza dell’amore che solo ci rende liberi.

Questo è indubbiamente un dono di Dio, che però richiede anche desiderio, collaborazione, impegno, accoglienza da parte nostra.

Ma l’altro motivo che, a parer mio, accomuna la nostra vocazione a quella degli uccelli del cielo, è che essi non si preoccupano di nulla, ma sono pienamente occupati nella lode di Dio.

Questo è il nostro compito: lodare Dio, a Lui cantare, accoglierlo cantando quando Lui verrà. Sono convinta che il canto, e la musica in genere, conduce in modo speciale a Dio.

“Chi canta, prega due volte”, diceva il grande S. Agostino.

Amo pensare che in Paradiso ci sarà un posto riservato ai musicisti e ai cantori, che con le loro melodie hanno aiutato il prossimo ad elevare il cuore a Dio che, oltre ad essere Amore, è anche Bellezza, Poesia, Musica, Arte, ed è la fonte e l’ispiratore di tutte queste cose. (Certo anche gli stonati hanno diritto di andare in Paradiso, ma suppongo… e spero… che per essi l’eterno Padre abbia provveduto un luogo un po’ insonorizzato…).

Liberi e sereni, privi di ansia e preoccupazioni varie, gli uccelli trascorrono il tempo cantando, non hanno un’altra funzione.

Altri animali sono da noi ritenuti più utili, perché da essi traiamo: latte, lana, pelle, ecc… ma come sarebbe triste il mondo senza il melodioso e gaio cinguettio degli uccelli che mette tanta allegria.

Lo stesso dicasi per la vita claustrale che lo Spirito Santo ha suscitato nella Chiesa con la funzione di “stare con Lui” e di ricordare a tutti i cristiani che la Chiesa è sposa di Cristo, una sposa innamorata che attende con gioia e con amore la venuta dello Sposo.

Conoscete il detto: “Si muore come si è vissuti”? Ebbene, se è vero, credo proprio che io morirò cantando.

Un abbraccio affettuosissimo:

Sr. Ch. Cristiana Scandura osc https://www.facebook.com/suorcristianascandura

Canto di lode: “Io vedo il Re della gloria”.

Testo e musica: Sr. Ch. Cristiana Scandura osc

LA SANTA SEMPLICITA’

Carissimi Fratelli e Sorelle,

nel Testamento spirituale che S. Chiara scrive alla fine della sua vita, esorta le “Sorelle, presenti e future, che si studino di imitare la via della santa semplicità” (FF 2845).

Ma che cos’è la semplicità e come si acquista? La semplicità è sinonimo di schiettezza e indice di unità interiore. Nel semplice non c’è dicotomia tra ciò che crede e ciò che vive, tra ciò che pensa e ciò che manifesta. Il vizio opposto alla semplicità infatti è proprio l’ipocrisia.

“La pura e santa semplicità che confonde ogni sapienza di questo mondo e la sapienza della carne” (Scritti S. Francesco: FF 258) è un atteggiamento profondo della persona che pensa e agisce lasciandosi guidare in tutto dalla Parola di Dio e dalla propria coscienza da essa illuminata.

La semplicità si fonda sulla verità e produce quale frutto la pace interiore. Per conquistare questa virtù bisogna avere il coraggio di fare verità in noi stessi.

L’ascolto costante della Parola di Dio ci porta a far emergere dal nostro cuore ogni doppiezza, condizionamento o travisamento. Ora, se facciamo emergere e portiamo alla luce le ferite nascoste del nostro cuore, la guarigione è prossima. Se prendiamo coscienza delle nostre ombre e non continuiamo a celarle a noi stessi, la luce divina penetrerà fino a rischiarare del tutto il nostro cuore rendendolo trasparente e retto, cioè semplice.

Il Signore conosce già l’intimo del nostro cuore e ci ama ugualmente, non dobbiamo dunque avere timore della verità e sgomentarci o scoraggiarci alla vista dei serpentelli nascosti nel nostro cuore, né tanto meno ignorarli come se non ci fossero, ma piuttosto impugnare contro di essi le armi del combattimento spirituale donatici dal Signore e cioè “la spada della Parola, lo scudo della fede, la cintura della verità” (Ef 6, 13-17), come San Paolo ci insegna.

Tale combattimento non avrà tregua finché viviamo, anzi più ci esponiamo ai raggi della luce divina, più notiamo in noi dei difetti, delle manchevolezze che prima, superficialmente, trascuravamo come cose da nulla.

È rilevante il fatto che molti cristiani non praticanti, che non si accostano abitualmente ai Sacramenti e alla Parola di Dio, si ritengono giusti per il fatto di non rubare e di non uccidere, mentre i santi, come S. Francesco D’Assisi, si reputano dei grandi peccatori, pieni di vizi.

Riflettendo sulla semplicità non si può non ricordare la benedizione rivolta da Gesù al Padre: “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli” (Mt 11, 25). I piccoli sono appunto i semplici, gli umili.

Quando Gesù parlava alle folle, pur potendolo fare, non usava un linguaggio forbito, ma faceva ricorso a semplici immagini ed esempi tratti dalla vita quotidiana. Esempi che erano sotto gli occhi di tutti, perché tutti potessero comprendere. Gesù parlava al cuore dei discepoli.

Per la sua fondamentale importanza, Francesco e Chiara amavano assai la virtù della “semplicità santa e pura, figlia della grazia, sorella della sapienza, madre della giustizia” (FF 775). Essa non cerca ostentazione e ovviamente non si identifica con la semplicioneria.

La semplicità di Francesco che si accompagnava all’innocenza e alla purezza, gli permetteva di scorgere nel creato le orme del Creatore e proprio per questo il suo animo si inondava di gaudio nel mirare il sole, la luna, le stelle del firmamento e parimenti le pietre, le selve, le acque correnti, il vento, l’aria, i fratelli…

Con semplicità, recatosi una volta a Roma, predicò dinanzi a Papa Onorio e ai Cardinali e parlò con tanto fervore che, quasi fuori di sé per la gioia, mentre proferiva le parole, si muoveva come danzando. In quell’occasione i presenti, vedendo l’ardore del suo cuore, furono mossi a incontenibile pianto di compunzione (FF 449). È con semplicità e brevità di parole che Francesco desiderava che i suoi Frati predicassero il Santo Vangelo.

Studiamoci anche noi di seguire la via della santa semplicità, facendo opera di semplificazione interiore, togliendo cioè dalla nostra vita gli orpelli, le cose inutili e tutto ciò che suona come ipocrisia, allora raccoglieremo i frutti della gioia e della pace, insieme alla libertà di spirito.

Con fraterno affetto:

Sr. Ch. Cristiana Scandura osc

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pdf La santa semplicità