Il mistero della divina chiamata

IL MISTERO DELLA DIVINA CHIAMATA – Sr. Ch. Cristiana Scandura osc – 3. Meditazione

 DECIDERSI

Viste le condizioni preliminari e chiarita la centralità della imprescindibile relazione con Cristo, rimane ora un passo fondamentale: decidersi. Tale tappa, apparentemente più facile nella scelta della vita di coppia, diviene talora insormontabile nella risposta ad una chiamata alla vita consacrata o sacerdotale. La paura prevale sull’abbandono, l’ansia di sbagliare sulla tempestività della scelta, la “scusa” (che molte volte consiste nel fatto che “non tutto è chiaro” o “potrei sbagliarmi” o “non sono degno\a”) sull’evidenza di alcuni segni.

Occorre tenere presente che il discernimento implica una decisione che riguarda ciò che si deve fare adesso. Dio ci pone la scelta “qui e ora”. L’invito consiste nel mettersi in cammino, scelta dopo scelta, e lasciare che Dio continui a orientare e a guidare. Ciò richiede generosità e coraggio. Dio chiama ciascuno di noi a seguirlo sulle stesse orme di Abramo il quale “partì senza sapere dove andava” (Eb 11,8). Altrimenti che “fidarsi” sarebbe se conoscessimo già la destinazione e le conseguenze del nostro camminare?

«Non abbiate paura! Lasciatevi “afferrare” da Cristo. Egli guarda ciascuno di voi negli occhi e, fissandovi, vi ama. É uno sguardo di predilezione, che sceglie e chiama. Uno sguardo che scruta e giunge fino al cuore del vostro cuore, dove dice: “Ti ho amato di un amore eterno. Vieni e seguimi!”. Ascoltate questa voce e assumete le vostre responsabilità nella Chiesa per la dilatazione del Regno di Dio nel mondo” (Don Pascual Chavèz). Ognuno di noi, in questo grande corpo che è la Chiesa, ha una missione ben precisa nella quale troverà la propria pienezza di vita. Occorre aprire le porte a Cristo! Lasciare che sia Lui ad avere la signoria del nostro cuore… ed Egli ci indicherà il sentiero della vita (Cfr. Sal 16, 11).

Solo nell’accoglienza della volontà del Padre si trova la pienezza della gioia e della vita.

VOCAZIONE DI FRANCESCO D’ASSISI

La gioia di essere chiamati per nome e di rispondere: “Lo farò volentieri, Signore”. È di fondamentale importanza ribadire che la chiamata non ha in Francesco, in Chiara, in noi, il suo impulso, la sua sorgente, bensì in Dio.  “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi” (Gv 15, 16), afferma Gesù. Ogni vocazione è un incontro con il Signore. Vediamo come è avvenuto questo incontro nella vita di Francesco d’Assisi. Francesco viene sorpreso da Dio. Mentre era in cerca di gloria umana, parte per andare a combattere. Ma in sogno il Signore lo induce a tornare indietro, contrapponendo alla gloria umana ricercata da Francesco, una gloria eterna che solo Lui può dare. Quindi è Dio che ha dei progetti su di lui e lo invita a parteciparvi: una sorpresa grandissima che egli ricorderà nella sua ultima volontà, nel Testamento. È proprio quella sorpresa che lo lascia stupito, lo trasforma, lo rende nuovo. Ma la sorpresa più grande fu quella di incontrare Cristo nell’uomo e nell’uomo povero, sofferente e più bisognoso, nel lebbroso. Da quel momento in poi ciò che prima sembrava amaro alla sua natura, gli divenne dolce e viceversa. Il punto decisivo nella sua conversione è l’incontro con il Crocifisso. Ogni vocazione trae origine dall’incontro salvifico con Cristo crocifisso. Mentre è in preghiera Francesco sente le parole di Cristo che gli dice: “Và, Francesco, e ripara la mia Chiesa, che come vedi, sta andando tutta in rovina”. A queste parole Francesco balza in piedi e con tutta la volontà, l’entusiasmo, e lo slancio di cui è capace risponde: “Lo farò volentieri, Signore!”. La conseguenza di questa docilità e obbedienza alla Parola è una mirabile fecondità. Della trasformazione di Francesco infatti si accorgono tutti e moltissimi, da lì a poco, vogliono imitare la sua forma di vita, ancora oggi.

ASCOLTARE I DESIDERI DEL CUORE

In ogni storia vocazionale è importante sottolineare che spesso la persona incomincia a chiedersi qual è il progetto di Dio su di lei dopo aver capito e accolto il desiderio più profondo che si ha nel cuore e che accomuna tutti gli uomini: il desiderio di essere felice, di “centrare il bersaglio”, di realizzarsi, non solo dal punto di vista lavorativo o in qualche altro aspetto circoscritto, ma facendo di tutta la propria vita qualcosa di grande. Spesso si cerca di appagare questo desiderio con mille surrogati ma solo Cristo riesce a colmare d’amore il cuore umano, anzi a farlo traboccare! Ogni uomo ha in cuore il desiderio di felicità. A volte però non è facilmente riconoscibile, soprattutto per chi è un po’ “duro d’orecchie”. Per questo è necessario andare in profondità per riuscire a capire che all’origine di ogni nostro desiderio vero e profondo c’è Dio. Non solo. Può sembrare strano ma anche dietro ai desideri più mondani e illeciti si nasconde il bisogno profondo e vitale di sentirsi amati e di amare in maniera totale e incondizionata, proprio come ci ama Cristo. Così come dietro ogni evento della nostra vita, ogni tribolazione, ogni incontro si nasconde il “filo rosso” della Provvidenza Divina che tutto dispone per un fine di amore. Ogni cosa è predisposta perché la creatura aderisca al Creatore. Bisogna dunque, scrutarsi dentro, facendo memoria della nostra storia personale, come luogo che contiene il mistero di Dio e attendere in preghiera un “sussurro divino”. Ogni nostro desiderio rivela un po’ della verità della nostra persona, le aspirazioni più profonde, ciò cui probabilmente siamo chiamati a divenire. Occorre dunque “scavare il desiderio”, per giungere a identificare che all’origine di ogni nostro desiderio vi è l’unico desiderio di Dio, di vedere il Suo volto e di realizzarsi nella Sua prospettiva. (Continua)

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Il mistero della divina chiamata

IL MISTERO DELLA DIVINA CHIAMATA – Sr. Ch. Cristiana Scandura osc – 2. Meditazione

VOCAZIONE E DISCERNIMENTO

Conoscere e rispondere alla vocazione è la questione centrale della vita di ogni persona, soprattutto negli anni giovanili. Il discernimento, e la conseguente decisione, non si improvvisa. Ha bisogno di alcune condizioni senza le quali si rischia di girare a vuoto.

Prendendo lo spunto dalla Bibbia, possiamo osservare che la nozione di chiamata è centrale per descrivere la persona umana nel suo rapporto con Dio. I patriarchi, i profeti, gli apostoli hanno iniziato la loro missione obbedendo a una chiamata di Dio.

Spesso si è trattato di un evento non esente da timore per le implicazioni che comportava, poiché essi erano coscienti della loro debolezza, erano per questo restii ad accettare.

Mosè diceva di essere impacciato di lingua, Geremia diceva di essere troppo giovane, Isaia di essere un uomo dalle labbra impure, Pietro di essere un peccatore. Sapevano tuttavia di essere stati scelti e chiamati da Dio ed erano coscienti che il suo aiuto e la sua grazia sarebbero stati per loro sufficienti.

Il termine vocazione esprime spesso la missione a cui uno è chiamato da Dio, ma il suo significato va oltre ciò che si è chiamati a fare: prima ancora della missione, esprime ciò che la persona è chiamata ad essere. In ultima analisi la vocazione definisce la persona così come Dio vuole che sia. L’importante per ognuno è saper discernere la propria chiamata. Tale processo di discernimento richiede alcune “condizioni”, ricordando che la vocazione non è solo missione, ma prima di tutto invito ad entrare in una relazione d’amore con Dio.

Se si vuole realmente giungere a conoscere ciò che Dio desidera da ciascuno, ci vogliono alcune condizioni indispensabili. È bene che questo percorso sia fatto con l’aiuto di una guida spirituale, una persona sapiente e di preghiera.

Prima condizione: la capacità di riflettere sugli avvenimenti ordinari della propria vita. Il discernimento richiede infatti una particolare sensibilità verso il proprio mondo interiore e la capacità di riflettere su ciò che si sperimenta e si vive. L’azione di Dio può essere sottile e rimanere spesso anche irriconoscibile fintanto che non si presta ad essa un’attenzione nella calma. Purtroppo oggi viviamo in un mondo di rumore che non è solo quello della strada, ma anche quello che ci creiamo con la televisione, la radio, i CD o i registratori; rumore che riempie ogni momento della giornata. Se si vuole riflettere con calma sulla propria vita bisogna prendere le distanze da questo rumore e ricercarsi spazi e tempi di silenzio esteriore ed interiore.

Seconda condizione: la capacità di descrivere ciò che si sperimenta. Bisogna quindi andare al di là di una semplice presa di coscienza degli avvenimenti per sviluppare la capacità di sentire le risposte da dare. Si tratta di trovare le parole adatte per descrivere ciò che si prova, ma le parole da sole non bastano; più importante è che si incominci a capire e valorizzare il modo con cui Dio è all’opera nella propria vita. Si prenderà allora coscienza che ci sono anche altre forze all’opera che cercano di distogliere da Dio e dal rispondere al suo amore. Come avvenne, per esempio in sant’Ignazio che, mentre era in ospedale, leggendo la vita di Cristo e dei santi, si sentiva fortemente attratto da questi racconti, ma poi avvertiva che i suoi pensieri vagavano lontano facendogli immaginare di essere un valoroso cavaliere e di compiere gesta eroiche, anche se, come egli confessa, questi pensieri lo lasciavano poi vuoto e triste. Può essere utile per favorire questo processo tenere un diario spirituale quotidiano e scrivere la propria autobiografia o confrontarsi con regolarità con la propria guida spirituale.

Terza condizione: la fedeltà alla preghiera personale. Il discernimento della vocazione non consiste soltanto nel giungere a un prudente giudizio circa il proprio futuro. Si tratta piuttosto di entrare nel movimento dell’amore di Dio e di stabilire una relazione sempre più profonda con questo Amore. Ora, ciò che nutre e favorisce questa relazione è proprio la preghiera.

Occorre tuttavia tenere presente che la preghiera non riguarda tanto, ciò che noi vogliamo dire a Dio, essa comincia non con il parlare, ma con l’ascoltare. L’intenzione profonda deve essere quella di sviluppare un atteggiamento di preghiera che pervada tutta la vita quotidiana.

Quarta condizione: la conoscenza di sé. Bisogna cioè che ciascuno guardi dentro se stesso e riconosca la trama del disegno di Dio nella propria vita: il modo in cui persone significative, eventi e decisioni hanno cooperato a plasmarla. Inoltre, è importante che sappiamo riconoscere le lotte e i conflitti, le forze e le debolezze, le speranze e le paure presenti nella nostra vita. Che cosa veramente riteniamo importante. In una parola, è necessario che la persona conosca se stessa.

Un passo ulteriore consiste nel conoscere i propri desideri più profondi. La domanda che Gesù rivolse ai due discepoli del Battista “Che cercate?” (Gv 1,38) deve sentirsi rivolta a tutti coloro che vogliano discernere la propria vocazione. Cosa desideriamo nel profondo del nostro cuore? Siamo attirati primariamente dal sacerdozio, dalla vita religiosa, dal matrimonio o da una delle tante forme di servizio nella Chiesa?

Quinta condizione: l’apertura a Dio e alla Sua volontà. È importante che conosciamo i nostri desideri più profondi e siamo capaci di avere grandi ideali circa il nostro futuro. Ma è altrettanto importante che siamo veramente aperti a Dio e abbiamo la docilità interiore di accettare come e dove Dio ci vorrà orientare. E si tratta di scoprirlo nella realtà di tutti i giorni.

Non vi è possibilità di discernimento vocazionale a prescindere dal rapporto con Cristo.

Abbiamo un esempio grande e recente nella testimonianza lasciataci da S. Giovanni Paolo II, non sfugge a nessuno che tutta la sua vita ruotava attorno al Cristo: su di Lui si appoggiava, Lo annunciava in ogni sua parola, Lo testimoniava in ogni suo gesto, con lui ha camminato in ogni stagione della sua esistenza. Senza l’esplicito riferimento a Cristo, la vita e il ministero del papa polacco rischia di non essere compresa appieno, anche se ammirata e stimata.

Ciò sta a dire che la scelta vocazionale scaturisce dalla scelta di Cristo e che nella scelta della propria vocazione la scelta di Cristo trova il suo habitat in cui maturare sempre più. Ha scritto il Giovanni Paolo II nel messaggio per la 42° Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni: «Chi apre il cuore a Cristo non soltanto comprende il mistero della propria esistenza, ma anche quello della propria vocazione, e matura splendidi frutti di grazia […]. Carissimi ragazzi e ragazze! Fidatevi di Lui, mettetevi in ascolto dei suoi insegnamenti, fissate lo sguardo sul suo volto, perseverate nell’ascolto della sua Parola. Lasciate che sia Lui a orientare ogni vostra ricerca e aspirazione, ogni vostro ideale e desiderio del cuore».

Senza questo incontro personale con il Cristo difficilmente potranno nascere e svilupparsi le vocazioni, soprattutto quelle di speciale consacrazione. Ce lo ricordava Paolo VI, in uno dei suoi ultimi messaggi per la Giornata Mondiale per le Vocazioni: «Nessuno segue un estraneo, nessuno dà la vita per una persona che non conosce. Se c’è crisi di vocazione, non è perché c’è innanzitutto crisi di fede?». Scaturisce di qui il primo e urgente impegno: incontrarsi con Cristo! (Continua)

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Il mistero della divina chiamata – 1. Meditazione

IL MISTERO DELLA DIVINA CHIAMATA – Sr. Ch. Cristiana Scandura osc – 1. Meditazione

 LA DIVINA CHIAMATA

“Si può ben dire che l’uomo è essenzialmente un chiamato, sia perché la chiamata lo costituisce nell’essere (chiamata alla vita), sia perché egli si realizza esattamente nell’essere chiamato e nel rispondere alla chiamata, dunque nell’obbedire. L’uomo è un essere responsoriale, capace di risposta, “responsabile” e di risposta addirittura a Dio, l’eterno chiamante, colui che chiama senza sosta, Dio infatti chiama perché ama, chiama per manifestare il suo progetto d’amore, chiama perché l’uomo sia felice. Dio quando ama chiama. Per questo non cessa di chiamare. Anzi, potremmo dire che la chiamata è l’attività tipica e specifica della Trinità santissima. E proprio per questo l’obbedienza si pone come gesto primordiale della vita dell’uomo: l’essere umano viene all’esistenza per un atto d’obbedienza alla chiamata dell’Eterno, nasce, potremmo dire, come essere obbediente, tale “per natura”. E l’obbedienza è subito ben più che una virtù, una condizione dell’esistenza umana.

Dio quando chiama si rivela

Tutte le chiamate di Dio, nella storia della salvezza, sono legate a una qualche rivelazione di Dio stesso. Il chiamato è regolarmente posto di fronte a una nuova immagine del divino, inedita e sorprendente (ricordiamo l’espressione di Giobbe: “Prima ti conoscevo per sentito dire, ora i miei occhi ti vedono”). Mosé, Abramo, Giacobbe…, e poi Geremia, Isaia, tutti i profeti…, i dodici, Maria, Paolo…, tutti hanno conosciuto il Padre attraverso una chiamata che mentre ne svelava il volto apriva impensati orizzonti all’esistenza terrena del chiamato. Per questo la risposta è difficile, poiché implica l’obbedienza al mistero che non cessa di svelarsi, perché è sempre ingresso in una terra straniera.

LE VOCAZIONI E LE MISSIONI NELL’ANTICO TESTAMENTO

Le scene di vocazione sono tra le pagine più importanti della Bibbia. La vocazione di Mosè al roveto ardente (Es 3), quella di Isaia nel tempio (Is 6), il dialogo tra Jahve ed il giovane Geremia (Ger 1), mettono in rilievo la presenza Dio nella sua maestà e nel suo mistero, e l’uomo in tutta la sua verità, nella sua paura e nella sua generosità, nelle sue potenze di resistenza e di accettazione. Perché questi racconti occupino un simile posto nella Bibbia, bisogna che la vocazione sia, nella rivelazione di Dio e nella salvezza dell’uomo, un momento veramente importante. Tutte le vocazioni dell’Antico Testamento hanno come oggetto delle missioni: Dio chiama per mandare. Ad Abramo, a Mosè, ad Amos, ad Isaia, a Geremia, ad Ezechiele, egli ripete lo stesso ordine: Và!

La vocazione è la chiamata che Dio fa sentire all’uomo che si è scelto e che destina ad un’opera particolare nel suo disegno di salvezza e nel destino del suo popolo. All’origine della vocazione c’è dunque un’elezione divina; al suo termine, una volontà divina da compiere. Tuttavia la vocazione aggiunge qualcosa alla elezione ed alla missione: una chiamata personale rivolta alla coscienza più profonda dell’individuo, che ne sconvolge l’esistenza, non soltanto nelle sue condizioni esterne, ma sin nel cuore, facendone un altro uomo. Questo aspetto personale della vocazione è reso nei testi: spesso si sente Dio pronunciare il nome di colui che egli chiama. Talora, per meglio indicare la sua presa di possesso ed il cambiamento di esistenza che essa significa, Dio dà un nome nuovo al suo eletto. E Dio si aspetta una risposta alla sua chiamata, una adesione istantanea, ma spesso l’uomo è preso da paura e tenta di sottrarsi (si pensi a Mosè preso da sgomento o a Giona che fugge lontano da Dio). E questo perché la vocazione è esigente e va controcorrente.

VOCAZIONE DELLA VERGINE MARIA

Maria è il modello dell’accoglienza della divina chiamata che si posa su un cuore in ascolto e attento ai segni di Dio (premessa questa indispensabile per poter percepire la divina chiamata) ed è modello dell’adesione incondizionata al progetto di Dio. Il sì pronunciato da Maria quando l’Angelo Gabriele Le annuncia che sarebbe diventata la Madre del Figlio di Dio, del Messia atteso, è un sì che si rinnova ogni giorno e si perpetua fino alla sofferenza più atroce per una Madre: veder morire in croce come un malfattore Colui che è il Signore di tutti e il Figlio diletto del Padre e suo. L’eccomi pronunciato da Maria nei misteri gaudiosi della vita del suo Figlio, è pienamente rinnovato anche nei misteri dolorosi che non si fanno attendere (si pensi alla fuga in Egitto poco tempo dopo la nascita di Gesù, agli anni vissuti da Gesù a Nazareth nella povertà, nel lavoro, nel nascondimento, alla vita pubblica di Gesù dove è fatto ben presto oggetto di persecuzioni, fino a quella suprema che culminerà nel tradimento, nell’accusa ingiusta e nella crocifissione).

Maria ha imparato a custodire e meditare nel cuore tutti gli eventi che riguardano Gesù, confrontandoli con le parole dei Profeti e dell’Antico Testamento in genere. Da questa meditazione assidua trae forza e luce sul Mistero grande di quel Figlio che Le è stato donato dal Cielo per la salvezza di tutti.

Nella vita di ogni chiamato\a sono presenti i misteri gaudiosi (per esempio l’entusiasmo degli inizi), i misteri dolorosi (le prove, la purificazione della fede, degli affetti, ecc…), nonché i misteri gloriosi per chi avrà perseverato fedelmente sino alla fine. Si parla qui non di una fedeltà stanca e trascinata, ma di una fedeltà gioiosa che rinnova lo slancio iniziale e che anzi si fa più matura e responsabile col passare degli anni.

È bene, ammonisce Gesù, che chi si siede per costruire una torre, consideri bene se ha i mezzi per poterla ultimare e che chi si reca in guerra contro un avversario valuti e misuri le forse sue e del nemico. Fuori metafora… chi si mette alla sequela di Cristo deve ben considerare che il Maestro non ha dove posare il capo, non promette glorie e onori su questa terra anzi annuncia che se hanno perseguitato Lui perseguiteranno anche i Suoi discepoli, non ci invita a lauti banchetti ma ci esorta a prendere ogni giorno la nostra croce e a seguirLo… se vogliamo.

Il Signore promette la vita eterna a coloro che hanno abbandonato tutto per seguirLo; ora questa vita eterna, è vero, cominciamo a gustarla quaggiù ma in mezzo alle inevitabili tribolazioni che è bene mettere in conto. La Beata Vergine Maria non si è tirata indietro, né lo hanno fatto i Santi; essi anzi attestano che una sola esperienza di Dio ha donato loro così tanta gioia, consolazione, giubilo del cuore, pace ineguagliabile, da stimare un nulla tutte le sofferenze patite per Cristo.

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Non siamo persone “normali”…

Mio Padre spesso soleva dire riferendosi a me: “Mia figlia Marinella è speciale!”. Si sa che i figli più piccoli – ed io sono l’ultima di quattro figli – occupano un posto particolare nel cuore dei genitori. Ma quale non fu la mia sorpresa e la mia gioia il giorno in cui udii rivolgermi questa affermazione niente meno che da DIO!

Accadde in una celebrazione eucaristica, quando venne proclamato il Vangelo in cui il Padre dice: “TU SEI IL MIO FIGLIO PREDILETTO, IN TE MI SONO COMPIACIUTO!” (Mc 1, 11).

È vero queste parole Dio le pronuncia rivolgendosi principalmente a Gesù, ma le pronuncia anche rivolgendosi a me e a te.

La mia interpretazione ed appropriazione di questa frase non è arbitraria perché, se tu ed io non fossimo così importanti per il nostro Padre Celeste, avrebbe Egli inviato il Suo amato Figlio a prendere la nostra carne mortale e a morire su una Croce come un malfattore per dimostrarci quanto ci ama? Certamente no!

Inoltre questa affermazione è ulteriormente illuminata e confermata da questa stupenda dichiarazione d’amore: “TU SEI PREZIOSO AI MIEI OCCHI, SEI DEGNO DI STIMA ED IO TI AMO!” (Is 43, 4)) e da quest’altra: “DIO HA TANTO AMATO IL MONDO DA DARE IL SUO FIGLIO UNIGENITO” (Gv 3, 16).

Ognuno di noi agli occhi di Dio Padre non è una persona “normale”, ma piuttosto una persona “SPECIALE”.

Dio è capace di lasciare le 99 pecorelle sui monti per andare in cerca di quella perduta.

“Se il Paradiso non esistesse, lo creerei per te!”, disse un giorno Gesù a S. Margherita da Cortona, terziaria francescana, che prima della conversione aveva vissuto in modo non proprio esemplare.

Questo amore, colmo di tenerezza, che Dio ha per ogni singola persona, oltre che suscitare in noi sentimenti di gratitudine, dovrebbe anche ispirare il nostro modo di relazionarci con gli altri.

Ogni persona è sacra e va rispettata come tale, ognuno, inoltre, racchiude in sé un mistero grande che è difficile comprendere fino in fondo, per questo dovremmo sempre astenerci dal giudicare, cosa che tocca unicamente a Dio che, solo, conosce il cuore dell’uomo in profondità.

Creati da Dio a Sua immagine e somiglianza, non possiamo che essere “speciali”. Questa consapevolezza dovrebbe renderci persone “positive” e riempire di sempre nuovo slancio ed entusiasmo i giorni della nostra vita.

Tutto ciò che facciamo è speciale, se compiuto in unione con Dio, nell’amore e per amore.

Se invece ci allontaniamo da Lui, ci allontaniamo anche da noi stessi, dagli altri e dal progetto buon che Dio ha concepito per noi.

Distaccandosi da Dio, l’uomo si abbrutisce e non porta a compimento il capolavoro che invece Dio avrebbe voluto farne. Come diceva il Beato Carlo Acutis. “Tutti nasciamo come originali, ma molti muoiono come fotocopie.”

Alzando spesso gli occhi a Cristo Crocifisso e Risorto per noi, ravviviamo la certezza di essere figli amati e prediletti da Dio.

Forti di questa certezza, non ci sia posto nella nostra vita per sentimenti di frustrazione o di depressione, ma piuttosto per la lode, la gioia e la gratitudine per tanta degnazione da parte di Dio, per altro del tutto gratuita quanto immeritata da parte nostra.

Vi abbraccio fraternamente in Cristo:

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Dio è sempre on-line

Per fortuna, o meglio, per grazia, Dio è sempre connesso, di giorno e di notte, nelle ore buie e in quelle solari, quando imperversa la tempesta e quando i raggi del sole accarezzano i petali di un fiore e fanno brillare le nostre lacrime, come fossero diamanti.

Il nostro rapporto con Dio non conosce problemi di linea, né interruzioni di sorta, se non… quelle deliberate da noi.

Per entrare in relazione con Dio, bisogna porsi in umile atteggiamento di ascolto.

Come una giovane innamorata si prepara all’incontro con la persona amata, curando anche i minimi dettagli, così la persona che vuole incontrare Dio nella preghiera bisogna che si predisponga all’incontro.

Vediamo concretamente come. È importante scegliere un luogo silenzioso e appartato, che può essere una Chiesa, una piccola Cappella o la propria stanza. La scelta di un luogo adatto per la preghiera aiuta la nostra fragile umanità, incline alla distrazione e deconcentrazione. Chi è più avanti nel cammino di unione con Dio, avrà facilità a raccogliersi e a pregare anche se si trova in mezzo ad una piazza, ma all’inizio non è così facile.

Spesso S. Francesco d’Assisi, mentre percorreva le strade per evangelizzare, veniva visitato dalla grazia e sentiva forte la chiamata interiore alla preghiera, allora si fermava e si copriva il viso con la manica della tonaca, quasi a formare una piccola celletta, per raccogliersi e gustare quei momenti di intensa preghiera, raccoglimento e unione con Dio.

Gesù stesso diceva alla Samaritana che Dio si deve adorare in spirito e verità (cfr Gv 4, 23), dunque, ogni luogo può essere buono, tuttavia, lo stesso Gesù sentiva il bisogno di ritirarsi a pregare sul monte o in luoghi solitari e deserti e lo faceva spesso in orari particolarmente avvolti dalla quiete, cioè di notte o di mattina all’alba (cfr Lc 5, 16).

È importante perciò, almeno nei momenti forti di preghiera, scegliere un luogo adatto.

Il secondo passo da compiere è quello di mettere a tacere le distrazioni, i pensieri che non hanno a che fare con la preghiera e disporre il proprio cuore a ricevere le confidenze di Dio. Per raccogliere il nostro spirito e allontanare i pensieri vani è molto utile ripetere una giaculatoria, cioè una brevissima preghiera invocazione che può essere il versetto di un Salmo, del Vangelo o della Parola di Dio in genere.

Quando il turbine dei pensieri si è finalmente placato, possiamo prendere in mano la Parola di Dio e leggerne un brano, lasciando che Dio ci parli attraverso di essa, illuminando la nostra storia.

Ci si può attenere al brano evangelico proposto dalla Chiesa per quel giorno e che ritroviamo nella S. Messa, oppure fare una lettura continuata della Sacra Scrittura, ciò che personalmente apprezzo e consiglio molto di fare, mettendoci in ascolto dello Spirito Santo, lo stesso Spirito che ha parlato attraverso gli autori dei Sacri Testi.

Più cresce la nostra familiarità con la Scrittura Santa, più la comprenderemo, e ci verrà spontaneo accostare il brano che stiamo meditando ad altri brani della Sacra Bibbia che ce ne rendono più chiaro il senso.

Non ci dimentichiamo mai che la Storia della Salvezza, contiene la storia della “nostra” personale salvezza.

Concludo questo argomento inesauribile sulla preghiera, con un invito: quando, entrando in rete, vedrete il pallino verde che fa sapere che un utente è in linea, il vostro pensiero corra alla lampada sempre accesa, giorno e notte, davanti al Santissimo Sacramento che esprime la Presenza del Signore Gesù Cristo, il Suo essere con noi. Sempre. Ricorriamo a lui con fiducia.

Vi abbraccio fraternamente in Cristo:

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