Signore: cosa vuoi che io faccia?

IL DISCERNIMENTO VOCAZIONALE – A cura di Sr. Ch. Cristiana Scandura osc

La Vocazione è un dono che Dio fa a ciascuno di noi per raggiungere la felicità e la pienezza: il percorso di discernimento è un cammino che passo dopo passo permette a chi ha deciso di rispondere a questo dono di compiere scelte fondamentali, in dialogo con il Signore e in ascolto della voce dello Spirito.

Ma che cosa significa con esattezza discernimento vocazionale e quali sono i passi di questo processo di conoscenza e realizzazione di sé?

Scopriamolo insieme.

Che cos’è il discernimento vocazionale?

In senso generale il termine “discernimento” indica la capacità di distinguere tra bene e male, che comporta una serie di criteri di valutazione sia sul piano morale che intellettuale. Esiste però una sostanziale differenza tra discernimento umano e spirituale: il primo si basa su canoni e regole scelti dall’uomo, mentre fondamenti del secondo sono i criteri scelti dallo Spirito.

Nel suo significato intrinseco il discernimento è un processo di conoscenza, che avviene grazie ad un ascolto e uno sguardo attento, e ci consente di orientarci nel cammino dell’esistenza. Valutare la nostra storia alla luce della fede: è un dono spirituale, che rende sensibili alle richieste interiori dello Spirito, che ci mettono a contatto con l’agire di Dio nella nostra vita.

Il discernimento vocazionale permette di superare uno stato di dubbio e smarrimento che spesso caratterizza chi si interroga su quale sia la giusta strada da intraprendere nella propria esistenza. Si tratta di uno strumento per conoscere l’opera e la volontà di Dio nella vita di ciascuno.

Il discernimento vocazionale è un cammino fatto di tappe che conduce in modo graduale e paziente alla conoscenza profonda di se stessi e alla comprensione del progetto che il Signore ha riservato per noi.

Solo nella preghiera, che è fatta anche di silenzio e di ascolto, è possibile capire in modo libero e responsabile il disegno che Dio ha per ognuno di noi: per riconoscere la chiamata è necessario mettersi in ascolto ed essere pronti a incontrare sé stessi per dare forma alla Vocazione a cui siamo chiamati.

In quale forma di vita riposa il tuo cuore?

L’incontro tra due assetati. La sete di Gesù e la sete della Samaritana.

 

La sete dell’uomo.

La sete esprime un bisogno naturale che accomuna tutti gli uomini. L’organismo umano ha bisogno di bere acqua per vivere. È dunque una questione di vita o di morte.

Ma c’è una sete ancor più profonda: la sete di amore, di felicità, di senso.

Spesso si cerca di dissetare questa sete attingendo a pozzi inconsistenti, con il risultato che la sete aumenta ancora di più.

Anche nelle scelte sbagliate che si possono compiere, si nasconde il desiderio di colmare questa sete. Ma, dice S. Agostino: “Il nostro cuore è inquieto se non riposa non Dio” la nostra sete rimane inappagata se cerchiamo di estinguerla altrimenti, perché nessuna cosa e nessuna persona può colmarla.

Nel nostro cuore c’è una profonda nostalgia di Dio, alla cui immagine e somiglianza siamo stati creati.

Il dialogo di Gesù con la donna samaritana ha da sempre affascinato artisti e interpreti. L’episodio è ricchissimo di simbolismi, a cominciare dal nome del luogo dell’incontro. Sicàr significa ”qualcosa è intasato”. L’uomo spesso sperimenta di essere intasato, separato dalla sua sorgente. Quella sorgente da cui dovrebbe zampillare nel suo cuore la gioia, la felicità.

Ogni uomo è in cerca della felicità, spesso però egli la cerca in “pozzi” sbagliati, prosciugati, vuoti, che non la contengono.

La prima parte del dialogo tra Gesù e la samaritana ruotano attorno all’acqua, al pozzo e alla sorgente. Tutti e tre i concetti sono immagini di una realtà più profonda: rimandano all’uomo che brama l’acqua atta a spegnere la sua sete, che è principalmente sete di amore.

Qui Gesù parla dell’acqua viva. L’acqua viva è innanzitutto acqua sorgiva in contrapposizione all’acqua stagnante di una cisterna.

Da sempre l’umanità ha sognato un’acqua di vita, una fonte dell’eterna giovinezza, un’acqua che comunichi un sentimento di vita nuovo e sempre giovane, che guarisca le ferite e preservi dalla vecchiaia e dalla morte. Gesù si riallaccia a questo anelito originario dell’uomo e soddisfa quello che l’uomo brama nel proprio cuore: egli dona l’acqua che dà la vita eterna.

Ma in che modo la dona? Non è solo l’acqua battesimale quella a cui Giovanni vuole qui rimandare. Se accogliamo in noi Gesù e la sua Parola, egli diventa per noi l’acqua che risana e rinfresca: egli ci porta a contatto con la sorgente interiore dell’acqua viva che zampilla nella nostra anima, ma da cui spesso noi siamo tagliati fuori.

Alla sete di vita fa seguito il desiderio d’amore. I sei uomini che la donna ha avuto, sono simbolo degli idoli con cui siamo sposati: denaro, potere, sessualità, gloria, ecc… gli idoli però non riescono a colmare ad appagare l’anelito di vita e di amore che il nostro cuore sente e ci lasciano più vuoti e tristi di prima.

Soltanto se ci inginocchiamo davanti a Dio e lo adoriamo raggiungiamo la meta del nostro desiderio. Solo allora il nostro cuore inquieto si placa.

I sei mariti sono immagine della sete di vita inappagata della donna e dell’autoillusione di cui siamo schiavi tutti quanti, come se il nostro anelito infinito potesse essere soddisfatto da persone o da cose. I sei mariti rimandano infine al settimo sposo, a Gesù che sulla croce si lascia squarciare il cuore per dimostrarci il Suo Amore, senza limiti e senza pretese. Un amore gratuito, personale, unico, fedele, che solo può colmare la nostra sete di amore infinito.

Notiamo come durante il dialogo della donna samaritana con Gesù, nel cuore di questa abbia cominciato a zampillare la sorgente di acqua viva di cui le parla Gesù, tanto è vero che essa, lascia la brocca con la quale era venuta al pozzo per attingere l’acqua e corre ad annunciare ai suoi concittadini che ha incontrato il Messia.

La sete di Dio.

Se l’uomo ha sete di Dio, lo sappia o no, e ne è prova che niente e nessuno può appagarlo, anche Dio ha sete dell’uomo, ha sete di me e di te.

“Dammi da bere” (Gv 4, 7) dice Gesù alla Samaritana. “Ho sete” (Gv 19, 28), ripete sulla Croce. Sete della mia e della tua risposta al Suo Amore.

Il Suo Sangue versato sulla Croce non sia vano.

L’Eucaristia è il luogo d’incontro fra due assetati o meglio ancora fra due innamorati. Ma anche quando dedichiamo del tempo alla preghiera che altro non è che incontro con l’Amato, l’Amico, il Fratello, il Signore, lo Sposo, si realizza l’incontro fra due assetati.

Tu hai preso coscienza della tua sete?

Quali sono i pozzi ai quali hai cercato di dissetarti?

Quali di essi ti hanno deluso e dove invece hai trovato la gioia vera e duratura?

Vi abbraccio fraternamente in Cristo:

Sr. Ch. Cristiana Scandura osc

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Il mistero della divina chiamata

IL MISTERO DELLA DIVINA CHIAMATA – Sr. Ch. Cristiana Scandura osc – 6. Meditazione

 “TI HO CHIAMATO PER NOME, TU MI APPARTIENI” (GER 43,1).

La chiamata per nome è tipica di Dio: Dio ha un nome, un volto e cerca il nostro volto, ha un cuore, ci dona il suo cuore aperto sulla croce e cerca però anche il nostro cuore: Francesco è rapito dalle parole che gli rivolge il Crocifisso e nel momento in cui entra in sintonia con la volontà di Dio, rispondendo alla chiamata, inizia per lui un’avventura meravigliosa, un cammino di risurrezione.

La chiamata esprime l’intensità dell’amore di Gesù Cristo, la risposta alla chiamata edifica il Regno di Dio e compie nella persona che risponde la realizzazione della santità cristiana che è adesione al progetto di Dio. Ogni vocazione è un incontro con il Signore e nasce dallo stupore di fronte alla scoperta di essere amati in modo preveniente e gratuito da Dio. La chiamata è un’esperienza profonda dell’Amore di Dio. La prima cosa che dobbiamo fare è dunque quella di accoglierlo con gratitudine. È l’amore che cambia la vita, che dà il tono alla vita, che dà l’impronta e la tempra della fedeltà. È il cuore il luogo in cui si incontra Dio.

VOCAZIONE DEI DISCEPOLI E DEI CRISTIANI

La vocazione è il mezzo mediante il quale Gesù raggruppa attorno a sé i Dodici, ma fa sentire anche ad altri un’analoga chiamata. La Chiesa nascente ha subito inteso la condizione cristiana come una vocazione. La Chiesa è la comunità dei chiamati, tutti coloro che fanno parte di essa, sono chiamati alla santità, ma è importante che ciascuno scopra e occupi il proprio posto in essa, secondo il disegno di Dio. Scrive San Paolo: “Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito, vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore, vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti” (1 Cor 12, 4ss) e inoltre: “Dio ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri ancora come evangelisti, altri come pastori e maestri, per rendere ciascuno idoneo a compiere il ministero allo scopo di edificare il corpo di Cristo” (Ef 4, 11-12).

LA CHIAMATA DEI PRIMI DISCEPOLI (Gv 1, 35-51)

Giovanni ci racconta la chiamata dei primi quattro discepoli e in che modo essi giungono, a poco a poco e in modo sempre più profondo a conoscere Gesù. È un crescendo di titoli con cui i discepoli designano il Nazareno: Agnello di Dio, Rabbì, Messia, Figlio di Dio, Re d’Israele. Poiché i discepoli sono simbolo di noi cristiani, nel loro cammino di sequela di Cristo diventa manifesto il cammino che anche noi dobbiamo percorrere. Una cosa che salta subito agli occhi è che ogni volta i discepoli vengono condotti a Gesù tramite degli intermediari. È un’immagine per noi cristiani, che abbiamo bisogno di altri che ci portino a Cristo. Le parole centrali in questo testo sono: “cercare” e “trovare”, “venire” e “vedere”. Il cammino per diventare discepoli è fatto di queste quattro parole. Si tratta di cercare Gesù seguendo l’anelito del nostro cuore. Se cerchiamo troveremo. Ma poi, arrivati da Gesù, dobbiamo vedere, cioè conoscere chi è in realtà e non basterà una vita per conoscerLo, per approfondire la conoscenza della Sua Persona.

I primi due discepoli seguono Gesù poiché hanno dato ascolto all’indicazione di Giovanni il Battista. Gesù si rivolge a loro e domanda: “Che cercate?”. Gli risposero: “Rabbì (che significa Maestro), dove abiti?”. Qui si racconta in apparenza un dettaglio indifferente; ma l’essenziale si nasconde dietro. La domanda fondamentale riguarda quello che vogliamo, o meglio, ciò di cui andiamo in cerca: “Che cosa cerchi?” Questa è la prima frase rivolta da Gesù ad ogni singola persona che desidera seguirLo: “Tu, con la tua vita cosa vuoi? Qual è il tuo più profondo desiderio?”. Quando entro in relazione con Gesù devo fare chiarezza su questo. Gesù conosce ogni singola persona e guarda sin nelle profondità del suo cuore. Non possiamo avvicinarci a Gesù senza essere messi a nudo dal suo sguardo, senza essere posti a confronto con la nostra verità personale. Nell’incontro con Gesù la nostra esistenza viene illuminata e svelata.

VOCAZIONE DI FRANCESCO D’ASSISI

La gioia di essere chiamati per nome e di rispondere: “Lo farò volentieri, Signore”.

È di fondamentale importanza ribadire che la chiamata non ha in Francesco, in Chiara, in noi, il suo impulso, la sua sorgente, bensì in Dio.  “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi” (Gv 15, 16), afferma Gesù. Ogni vocazione è un incontro con il Signore. Vediamo come è avvenuto questo incontro nella vita di Francesco d’Assisi. Francesco viene sorpreso da Dio. Mentre era in cerca di gloria umana, parte per andare a combattere. Ma in sogno il Signore lo induce a tornare indietro, contrapponendo alla gloria umana ricercata da Francesco, una gloria eterna che solo Lui può dare. Quindi è Dio che ha dei progetti su di lui e lo invita a parteciparvi: una sorpresa grandissima che egli ricorderà nella sua ultima volontà, nel Testamento. È proprio quella sorpresa che lo lascia stupito, lo trasforma, lo rende nuovo. Ma la sorpresa più grande fu quella di incontrare Cristo nell’uomo e nell’uomo povero, sofferente e più bisognoso, nel lebbroso. Da quel momento in poi ciò che prima sembrava amaro alla sua natura, gli divenne dolce e viceversa. Il punto decisivo nella sua conversione è l’incontro con il Crocifisso. Ogni vocazione trae origine dall’incontro salvifico con Cristo crocifisso. Mentre è in preghiera Francesco sente le parole di Cristo che gli dice: “Và, Francesco, e ripara la mia Chiesa, che come vedi, sta andando tutta in rovina”. A queste parole Francesco balza in piedi e con tutta la volontà, l’entusiasmo, e lo slancio di cui è capace risponde: “Lo farò volentieri, Signore!”. La conseguenza di questa docilità e obbedienza alla Parola è una mirabile fecondità. Della trasformazione di Francesco infatti si accorgono tutti e moltissimi, da lì a poco, vogliono imitare la sua forma di vita, ancora oggi.

Tu HAI SCOPERTO QUAL E’ LA TUA VOCAZIONE?

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Il mistero della chiamata

IL MISTERO DELLA DIVINA CHIAMATA – Sr. Ch. Cristiana Scandura osc – 5. Meditazione

LA VOCAZIONE, INCROCIO DI SGUARDI

Vocazione è sentirsi avvolti da uno sguardo d’amore e abbracciati dall’Eterno. Ma spesso lo sguardo umano non incrocia quello divino e si ferma solo alle cose di quaggiù. Quando il Signore chiama invita prima di tutto ad entrare in uno speciale rapporto con Lui e solo dopo affida una missione. Nel racconto evangelico del giovane ricco non scatta questa relazione e pertanto va a vuoto anche l’invito del Maestro (Mc 10,17-27). Meditiamo su questo episodio.

“Tutto questo l’ho sempre fatto” (cfr Mc 10, 20).

Il giovane che si avvicina a Gesù sembra lanciatissimo sulla via del bene. Mentre gli altri si accostano al Signore per metterlo alla prova o chiedergli la guarigione dalle malattie, lui invece lo cerca per sapere qualcosa della vita eterna. Il terreno era fertile, dunque, ma anche pieno di rovi pronti a soffocare il seme. Quali rovi? Una certa presunzione, anzitutto, che conduce questo tizio a esibire dinanzi a Gesù la sua osservanza cristallina, da sempre! Una sorta di impeccabilità radicale.

“Gesù, fissatolo, lo amò” (Mc 10, 21).

Gesù coglie la parte positiva di questo giovane, non lo rifiuta, magari facendogli notare la sua presunzione. Il Maestro intuisce ciò che gli manca, che è proprio l’esperienza del Suo amore e gli dà la possibilità di sperimentarlo in diretta e in quel preciso istante. Lo fissa negli occhi con uno sguardo tenerissimo e intensissimo di amore per lui, lui solo, come se in quel momento non vi fosse nessun altro sulla faccia della terra. Perché così ama Dio, quel Padre che sa contare solo fino a uno. Quell’uno è ogni uomo, sei tu… e ogni vocazione è questo abbraccio di amore del Creatore che fissa la creatura, evocando quel progetto della creazione pensato apposta per essa, sulla sua misura, e firmato dall’Eterno! Vocazione è sentirsi avvolti da questo sguardo, quasi abbracciati da esso.

“UNA COSA SOLA TI MANCA…” (Mc 10, 21).

In fondo questo giovane è già a buon punto, gli manca solo una cosa, dice Gesù, rivolto forse anche a noi, che riusciamo sempre a complicarci la vita, pensando che dobbiamo fare chissà che per seguire il Maestro e accoglierne la chiamata. E invece basta una cosa sola, una scelta unica che potrebbe però cambiare tutto e togliere ogni tristezza, perché significherebbe aver trovato l’essenziale, ciò che carica di senso la vita e che nessuno ci potrà portare via; e assieme vorrebbe dire aver identificato ciò che ci trattiene ancora e non ci fa essere liberi di scegliere e di fare scelte anche un po’ folli, nate dalla gioia di quell’abbraccio.

“…va’, vendi… dallo; vieni e seguimi”

Ecco l’unica cosa, anche se declinata in 5 verbi, i primi 3 in direzione interpersonale-orizzontale, gli altri due riguardanti il rapporto personalissimo con Gesù. “Udito questo, il giovane se ne andò triste” (mt 19, 22). L’interpretazione abituale motiva il rifiuto con l’attaccamento alle ricchezze da parte del giovane. Forse però il vero motivo vada ricercato più a monte: questo giovane non si era lasciato raggiungere dall’amore di Gesù, i suoi occhi non avevano incrociato quelli del Maestro che lo fissavano; preoccupato di esibire la propria osservanza della legge non si era accorto di quel gesto di amore proprio per lui. Se ne fosse accorto, o fosse stato libero di accoglierlo, avrebbe scoperto l’assoluta sproporzione tra le sue terrene ricchezze e la ricchezza di questo amore, non avrebbe avuto dubbi sulla scelta e sarebbe stato felice! Certo che poi non ha la forza di fare lo strappo: è solo la certezza di essere amato, che dà energia e coraggio di fare cose che sembrano impossibili. Altrimenti c’è un’unica alternativa: la tristezza o la sensazione di aver buttato via un’occasione unica. È l’afflizione di questo giovane che se ne va sconsolato: giovane molto più triste che ricco. (Continua)

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